Benessere

AUTOEFFICACIA, quando sentirsi capaci fa bene alla salute

Elaborato da Albert Bandura, la self-efficacy o autoefficacia è un concetto psicologico che può avere effetti anche sulla salute

Incontra uno psicologo

Tra gli anni Settanta e Novanta lo psicologo Albert Bandura divenne famoso grazie all’introduzione del concetto di self-efficacy, o autoefficacia. Con questo termine si intende il grado in cui una persona si reputa capace di affrontare una situazione o un cambiamento. Negli ultimi trent’anni, questo concetto si è rivelato utile anche per spiegare in che modo affrontiamo le malattie, come l’ipertensione arteriosa o i problemi cardiaci.

Quando ci troviamo ad affrontare una situazione stressante, una sfida, o un cambiamento, spesso queste ci sembrano più grandi di noi. Pensiamo di non essere in grado di farcela e ci scoraggiamo, ci abbattiamo. Quando non ci consideriamo all’altezza, anche la nostra motivazione a fare qualcosa è minore, perché “tanto non ci riesco”. Ciò che pensiamo rispetto a quanto siamo in grado di affrontare una situazione è costituito dalle nostre personali convinzioni di autoefficacia, o self-efficacy. Il concetto di autoefficacia è stato sviluppato dallo psicologo canadese Albert Bandura. Tra il 1977 e il 1997 Bandura mise a punto la teoria social-cognitiva e all’interno di questa cornice teorica, fece emergere il concetto di convinzioni di autoefficacia. Con questa definizione, l’autore indicava quelle credenze e convinzioni che ogni individuo sviluppa rispetto al proprio essere in grado di fare qualcosa, o di affrontare una specifica situazione.

Come si forma la nostra autoefficacia?

Secondo Bandura, ognuno deriva le proprie credenze sulla self-efficacy da quattro fonti di informazione:

  • la realizzazione di performance: cioè le situazioni in cui si è sperimentata con successo la padronanza di certe abilità, riuscendo a svolgere un compito;
  • il confronto con gli altri: ovvero l’osservazione di situazioni in cui persone simili a noi hanno ottenuto buoni risultati in determinati compiti, senza conseguenze negative. Questo induce la persona a credere di poter riuscire in quello stesso compito;
  • il feedback positivo da parte degli altri: per esempio quando ci sostengono e motivano ad affrontare una situazione, rassicurandoci del fatto che possediamo le abilità necessarie;
  • gli stati fisiologici e le emozioni: per esempio, l’ansia che precede un esame. Se è a un livello adeguato può fornire un buon livello di concentrazione, mentre un’ansia fuori controllo può portare a pensieri catastrofici rispetto al risultato delle proprie performance (“non passerò mai l’esame”).

Una caratteristica importante dell’autoefficacia è di essere contesto-specifica. Ciò significa che non è sempre uguale, ma varia a seconda delle particolari situazioni, contesti e compiti che dobbiamo affrontare. Per esempio, è possibile ritenersi molto bravi nelle attività sportive, ma pessimi nelle abilità matematiche.

Patologie cardiache e ipertensione: qual è il ruolo dell’autoefficacia percepita?

Negli ultimi anni, alcuni studiosi hanno declinato il concetto di autoefficacia in termini di Perceived Health Competence. Questo termine indica le convinzioni rispetto alla propria competenza nel mettere in atto comportamenti salutari ottimali di fronte alla malattia (per  esempio recarsi dal medico, assumere i farmaci, controllare la dieta).
Diversi studi hanno dimostrato come convinzioni di autoefficacia adeguate siano in grado di portare a un maggiore benessere psicologico e fisico. Bandura stesso ha rilevato che il recupero cardiovascolare di pazienti che hanno subìto un infarto è migliore in chi ha lavorato sulla propria self-efficacy tramite un programma specifico, rispetto a chi non aveva svolto questo allenamento. Una certa mole di studi ha dimostrato che le convinzioni di autoefficacia in pazienti con patologie cardiovascolari sono in grado di predire la partecipazione a programmi di riabilitazione, il tempo di recupero dalla malattia, la possibilità di future ospedalizzazioni, i livelli di ansia e depressione.
L’autoefficacia sembra importante anche nella prevenzione e nel trattamento dell’ipertensione arteriosa. È stato dimostrato, infatti, che le persone con maggiore autoefficacia percepita risultano più capaci – rispetto a individui con bassi livelli di self-efficacy – di mantenere nel tempo stili di vita più sani (come una maggiore assunzione di frutta e verdura e maggiore attività fisica). L’adozione di tali comportamenti è fondamentale nella prevenzione dell’ipertensione arteriosa. Infine, è stato confermato che pazienti ipertesi con livelli più alti di autoefficacia aderiscono con maggiore probabilità alle indicazioni mediche. Essi, per esempio, riescono a ridurre la quantità di sale nella dieta, a svolgere maggiore attività fisica, a non fumare e a mettere in atto strategie comuni di riduzione del peso.

Come si possono modificare le convinzioni di autoefficacia?

Spesso le convinzioni di auto-efficacia sono strettamente intrecciate al livello di autostima.
Qui riproponiamo i 5 punti di Guy Winch, psicologo americano autore per i siti Ted.com e Psychology Today, per cominciare a lavorare sulla propria autostima e quindi autoefficacia.

  1. Usa correttamente le affermazioni positive: invece di pensare “sarò sicuramente un grande successo” è meglio pensare “mi impegnerò in modo costante fino ad avere successo”. Quando l’autostima è bassa, infatti, cercare di convincerci che andrà tutto in modo meraviglioso potrebbe farci sentire peggio, perché è un’idea troppo lontana da come ci sentiamo.
  2. Identifica e sviluppa le tue competenze: quando troviamo un campo in cui ci sentiamo adeguati è bene cercare di sviluppare tali abilità. Per esempio, se sei bravo a cucinare, organizza più cene, se sei bravo a suonare uno strumento trova un gruppo o esibisciti più spesso. I feedback positivi sono più probabili se potenziamo i nostri talenti.
  3. Impara ad accettare i complimenti: quando l’autostima è bassa, diventa anche più difficile accettare complimenti degli altri. In questo caso può essere utile prepararsi delle risposte semplici che ci aiutano ad accettare l’apprezzamento degli altri e sentirci meglio, per esempio “grazie” o “sei molto gentile”. Imparare ad accettare i complimenti è segno che la nostra autostima sta migliorando, perché ci identifichiamo nelle descrizioni positive che gli altri fanno di noi.
  4. Elimina l’auto-criticismo e introduci l’auto-compassione: quando le cose vanno male è più facile criticarsi. Ma questo peggiora le cose. Quando il dialogo svalutante si innesca, può essere utile pensare a come parleremmo a un nostro caro amico se dovessimo consolarlo.
  5. Afferma il tuo reale valore: quando qualcosa è andato storto, scrivi una lista di qualità che ti rendono apprezzabile in quel campo. Per esempio, se sei stato rifiutato da un gruppo, crea una lista di qualità che ti renderebbero un buon amico.

Queste indicazioni possono essere utili per riaffermare la propria autostima e, in tal modo, migliorare le convinzioni rispetto alla propria autoefficacia. È un punto d’inizio. Esistono infatti programmi specifici per migliorare la propria self-efficacy. L’ultimo suggerimento, se credi di essere un fallimento totale o se non riesci a cambiare uno stile di vita poco sano, è quello di rivolgerti a uno psicoterapeuta.

 

Incontra uno psicologo