Psichiatria

Il disturbo antisociale di personalità

Un disturbo antisociale di personalità può manifestarsi quando si verificano il disprezzo delle leggi della società e del mondo circostante, unitamente alla mancanza di considerazione per le responsabilità sociali e all'indifferenza verso gli altri

Il disturbo antisociale di personalità

Con una prevalenza del 3% nei soggetti maschili e l’1% nei soggetti femminili, stando al DSM 2014, il disturbo antisociale di personalità richiede un approfondimento che ne specifichi i sintomi, i possibili fattori eziologici. Insieme ad adeguati approcci terapeutici.

A scriverne, la dottoressa Miriam Baraccani, Psicologa e Psicoterapeuta, collaboratrice del Centro Medico Santagostino.

In cosa consiste il disturbo antisociale di personalità?

Il disturbo antisociale di personalità, classificabile come uno dei disturbi di personalità, è caratterizzato dal disprezzo patologico del soggetto per le regole e le leggi della società e del mondo circostante. Il manuale ICD10 (Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati),  lo definisce così: “Disturbo della personalità caratterizzato dal disprezzo delle responsabilità sociali e dall’indifferenza verso gli altri”.

Vi è una significativa discrepanza tra il comportamento dei pazienti con disturbo antisociale di personalità e le norme sociali di base. Inoltre, il comportamento è rigidamente strutturato e non può essere cambiato sulla base dell’esperienza, compresa la punizione. Vi è la tendenza, da parte di queste persone, ad incolpare gli altri o a fornire spiegazioni plausibili per il loro comportamento.

Com’è una persona antisociale e come si comporta?

La personalità antisociale si può esprimere in vari modi. Non esistono solo condotte violente ed aggressive e molti antisociali non necessariamente hanno problemi con la giustizia. Spesso sono persone che hanno successo nel loro ambito lavorativo e suscitano ammirazione. Proprio per la capacità di manipolazione e persuasione che essi hanno.

Nonostante spesso gli individui con disturbo antisociale di personalità appaiano come affascinanti e carismatici ed abili osservatori del contesto che li circonda, l’incapacità di “mettersi nei panni degli altri” caratterizza la loro modalità relazionale superficiale. Con l’impossibilità di accedere ad una reale intimità che è vista come fonte di vulnerabilità e pericolo.

Spesso segni di comportamenti ostili e aggressivi emergono già durante l’infanzia e l’adolescenza. In queste prime fasi si possono osservare piccoli furti, menzogne e conflitti con l’autorità. Possono anche sorgere episodi di abuso di sostanze insieme a gesti violenti indirizzati verso altre persone o torture di animali.

Una vita emotiva povera

Una volta raggiunta l’età adulta, queste persone faticano ad assumersi responsabilità, a mantenere un lavoro stabile e a coltivare relazioni affettive durature. La loro vita emotiva è spesso povera e per lo più caratterizzata dalla bassa tolleranza alla frustrazione, dalla noia e dalla rabbia, in particolare modo quando non riescono a giungere al loro obiettivo.

Il loro approccio alle relazioni interpersonali è caratterizzato da superficialità e da un evidente disprezzo per i sentimenti e le preoccupazioni degli altri. Uno dei tratti distintivi del disturbo antisociale è l’assenza di senso di colpa e rimorso per le loro azioni, anche quando provocano un danno agli altri.
Non valutano le conseguenze avverse o sottovalutano la possibile punizione. Nei casi più gravi, vi è una profonda incapacità di apprendere dall’esperienza.

Nelle relazioni con gli altri utilizzano sempre il potere e il controllo per trarne vantaggio, vedendo l’altro come nemico o un debole da vessare. Il dialogo interno può spesso essere caratterizzato da convinzioni quali “Gli altri sono tutti stupidi”, “Tutti mi sfruttano, quindi li sfrutto anch’io”. La tendenza, quindi, è quella di giustificare il loro comportamento infrangendo le regole per ottenere solo ciò che vogliono.

Sociopatia e psicopatia. Quali sono i punti in comune e le differenze?

Sebbene la condivisione di comportamenti antisociali sia un tratto comune tra i termini “sociopatico” e “psicopatico”, è importante riconoscere che non tutti i sociopatici manifestano un disturbo antisociale di personalità, a differenza degli psicopatici.

I sociopatici possono sviluppare connessioni emotive con individui specifici, come amici o familiari, all’interno di contesti determinati. Al contrario, gli psicopatici sono completamente incapaci di provare empatia o di stabilire legami emotivi reali.

I sociopatici, sebbene interpretino il bene e il male in modi peculiari, possono dimostrare una coscienza più sviluppata, un senso di colpa e lealtà verso alcune persone, mentre gli psicopatici non provano alcun senso morale nei confronti degli altri e ciò che li rende particolarmente pericolosi e tendenti al crimine è proprio la loro capacita di imitare le connessioni emotive.

Infine, i sociopatici tendono a essere ansiosi e suscettibili allo stress e spesso preferiscono stare da soli a causa delle sfide che affrontano nel rapportarsi agli altri. D’altro canto, gli psicopatici si distinguono per la loro freddezza e capacità di agire con piena consapevolezza delle conseguenze, senza provare alcun tipo di disagio o malessere che possa interferire nella loro routine quotidiana.

Quali possono essere le cause del disturbo antisociale di personalità?

Nonostante le cause esatte dello sviluppo del disturbo antisociale di personalità siano ancora poco chiare, le ricerche indicano una correlazione con i seguenti fattori:

  • disturbo dell’attaccamento, collegato anche all’ansia da separazione.
  • interazione tra geni e ambiente: recenti studi hanno mostrato come dal punto di vista neurobiologico ci sia un funzionamento anomalo del trasportatore di serotonina. Ulteriori ricerche indicano anche che individui affetti dal disturbo antisociale di personalità mostrano variazioni nella struttura del lobo frontale, la regione cerebrale responsabile di funzioni come la pianificazione e il giudizio.
  • stile educativo eccessivamente normativo ed autoritario: genitori che tendono a minimizzare i sentimenti dei bambini e non incoraggiano lo sviluppo della loro autenticità, cercando piuttosto la totale obbedienza, aumentano la probabilità che i figli sviluppino comportamenti aggressivi nei confronti degli altri.
    Inoltre, questo stile educativo veicola messaggi di “dominanza” e “potere” e non è molto diverso dall’approccio più permessivo che, al contrario, non pone abbastanza limiti, veicolando un messaggio di legittimazione di un soddisfacimento del bisogno immediato ed onnipotente. In altre parole, sostiene che sia accettabile avere desideri immediati e senza alcuna limitazione.

Mancanza di amore e di empatia

La mancanza di esperienza d’amore è fondamentale in questi disturbi della personalità. Lo sguardo materno, laddove assente, genera un profondo senso di vuoto che non permette all’individuo di accedere alla dimensione dell’empatia. Con questo termine si intende uno sguardo di reciprocità che consente di relazionarsi con l’altro senza confondersi, senza mettere in atto dinamiche sadomasochistiche o di potere.

Per dirla con Carl Gustav Jung: dove non c’è Eros, dove non c’è stata integrazione delle istanze psichiche, tutto ciò che non è cosciente in noi, ovvero l’Ombra, agisce e domina. Così scrive Jung, infatti, in Psicologia e religione, 1938 – 1940: “Ognuno è seguito da un’Ombra, tanto più nera e densa quanto meno è incorporata nella vita cosciente dell’individuo”.

Come si esegue una diagnosi di disturbo antisociale di personalità?

Il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders) fornisce i seguenti criteri diagnostici. Il disturbo antisociale di personalità si caratterizza per inosservanza e violazione dei diritti degli altri che si manifesta sin dall’età dei 15 anni con tre o più dei seguenti elementi:

  • incapacità di conformarsi alle norme sociali per ciò che concerne il comportamento legale, come indicato dal ripetersi di condotte suscettibili di arresto
  • disonestà, come indicato dal mentire, usare falsi nomi, o truffare gli altri ripetutamente per profitto o per piacere personale
  • impulsività o incapacità di pianificare
  • irritabilità e aggressività come indicato da scontri o assalti fisici ripetuti
  • inosservanza spericolata della sicurezza propria e delle altre persone
  • irresponsabilità abituale, come indicato dalla ripetuta incapacità di sostenere un’attività lavorativa continuativa o di far fronte ad obblighi finanziari
  • mancanza di rimorso, come indicato dall’essere indifferenti o dal razionalizzare dopo aver maltrattato, danneggiato l’altro da sé.

Perché venga fatta questa diagnosi, il soggetto deve aver compiuto 18 anni ed il comportamento antisociale non deve manifestarsi esclusivamente durante un decorso psicotico o di un episodio maniacale.

Nella terza sezione del DSM 5, si fa riferimento a due criteri: A e B. All’interno di questi criteri il soggetto deve manifestare una moderata o grave compromissione di due o più aree. Il criterio A fa riferimento a: identità, autodirezione (in cui gli obiettivi sono legati esclusivamente alla soddisfazione personale), empatia ed intimità. Con il criterio B si fa, invece, riferimento alla tendenza alla manipolazione, a correre rischi e all’irresponsabilità.

L’importanza di una diagnosi differenziale

Essendo il Disturbo Antisociale di Personalità all’interno della categorizzazione dei Cluster B del DSM (appartengono a questo cluster il Disturbo Borderline di Personalità, il Disturbo Narcisistico di Personalità ed il Disturbo Istrionico di Personalità) sarà importante fare una diagnosi differenziale con i disturbi sopracitati. Con la consapevolezza che ogni patologia si muove lungo un continuum e che non rientra rigidamente solo in uno schema predefinito.

Una diagnosi corretta ovviamente aiuta a individuare la terapia più mirata.

È importante sottolineare che anche se lo stereotipo dell’antisociale lo descrive per lo più come violento, anni di clinica hanno permesso di individuare due sottogruppi. Uno caratterizzato da modalità passivo-aggressive più dipendenti dall’altro da sé e fortemente manipolatori ed un secondo sottogruppo di persone maggiormente aggressive ed esplosive.

Dal punto di vista dei test, oltre all’MMPI-2 (Minnesota Multiphasic Personality Inventory), che indaga le principali caratteristiche strutturali della personalità, vi è anche il PCL-R (Hare Psychopathy Checklist-Revised) che indaga gli aspetti interpersonali, lo stile di vita, le dinamiche affettive e l’antisocialità.

Quali terapie possono essere adottate?

Le persone affette da disturbo antisociale di personalità non cercano attivamente la terapia, poiché spesso non sono consapevoli di essere affette da un disturbo. Nei casi più gravi, l’avvio di un percorso di psicoterapia avviene dopo che è stata diagnosticata loro la “psicopatia” all’interno di un contesto giudiziario, in seguito a procedimenti legali in cui sono stati coinvolti come imputati. Ci si rivolge quindi al terapeuta solo dopo aver avuto problemi con la giustizia e dopo essere stato inseriti in un programma riabilitativo.

Al netto dello specifico trattamento farmacologico, nella psicoterapia con queste persone è fondamentale fornire da subito un setting definito chiaramente, con regole chiare e precise, condivise da subito relative alla frequenza degli incontri, alla modalità di pagamento, agli orari.

Va ricordato che proprio in virtù della bassa tolleranza alla frustrazione, della tendenza a esternalizzare le responsabilità delle loro azioni spesso il legame terapeutico verrà attaccato.

Imparare a rimanere nel qui e ora

Fondamentale per il terapeuta mantenere un buon monitoraggio del proprio controtransfert, con un atteggiamento di accettazione ed assenza di giudizio. Ogni disturbo di personalità si muove lungo un continuum, maggiore sarà la capacità di strutturare un minimo di legame e di esercitare un minimo di funzione superegoica e maggiore sarà la loro trattabilità.

Il lavoro del terapeuta dovrà concentrarsi anche sull’aiutare la persona a mettere in rapporto le sue azioni con i suoi stati mentali interiori. In questo modo si cercherà di rimanere nel qui ed ora. Una condizione di presenza mentale, di mindfulness. Anche rispetto alle aspettative che il terapeuta nutre.