Secondo il DSM-5 Il disturbo antisociale di personalità (DAP) è un disturbo mentale caratterizzato da un modello pervasivo di disprezzo per le regole e i diritti degli altri.
Le persone con questo disturbo mostrano un comportamento impulsivo e irresponsabile, spesso senza provare rimorso per le loro azioni.
Ne parliamo insieme alla dottoressa Miriam Baraccani, psicologa e psicoterapeuta, collaboratrice del Santagostino.
In cosa consiste il disturbo antisociale di personalità?
Il disturbo antisociale di personalità, classificabile come uno dei disturbi di personalità, è caratterizzato dal disprezzo patologico del soggetto per le regole e le leggi della società e del mondo circostante.
Il manuale ICD10 (Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati), lo definisce così: “Disturbo della personalità caratterizzato dal disprezzo delle responsabilità sociali e dall’indifferenza verso gli altri”.
Come riconoscere una persona antisociale?
La personalità antisociale si può esprimere in vari modi. Non esistono solo condotte violente e aggressive. Molte persone con DAP sono abili manipolatori, in grado di farsi strada nella vita grazie al loro carisma e alla loro capacità di persuadere le persone. Questo le rende spesso affascinanti e, talvolta, anche di successo nel loro ambito lavorativo.
Tuttavia, dietro questa facciata si nasconde un‘incapacità profonda di comprendere e condividere i sentimenti degli altri. La loro relazionalità è superficiale, basata più sulla manipolazione che sulla vera intimità. La paura di mostrarsi vulnerabili li porta a evitare legami profondi e significativi.
I comportamenti più ostili e aggressivi emergono generalmente durante l’infanzia e l’adolescenza. È infatti tra teenagers che si possono osservare piccoli furti, menzogne e conflitti con l’autorità. Possono anche sorgere episodi di abuso di sostanze insieme a gesti violenti indirizzati verso altre persone o torture di animali.
Una vita emotiva povera
Una volta raggiunta l’età adulta, queste persone faticano ad assumersi responsabilità, a mantenere un lavoro stabile e a coltivare relazioni affettive durature. La loro vita emotiva è spesso povera e per lo più caratterizzata dalla bassa tolleranza alla frustrazione, dalla noia e dalla rabbia, in particolare modo quando non riescono a giungere al loro obiettivo.
Il loro approccio alle relazioni interpersonali è caratterizzato da superficialità e da un evidente disprezzo per i sentimenti e le preoccupazioni degli altri. Uno dei tratti distintivi del disturbo antisociale è l’assenza di senso di colpa e rimorso per le loro azioni, anche quando provocano un danno agli altri. Non valutano le conseguenze avverse o sottovalutano la possibile punizione.
Nelle relazioni con gli altri utilizzano sempre il potere e il controllo per trarne vantaggio, vedendo l’altro come nemico o un debole da vessare. Il dialogo interno può spesso essere caratterizzato da convinzioni quali “Gli altri sono tutti stupidi”, “Tutti mi sfruttano, quindi li sfrutto anch’io”. La tendenza, quindi, è quella di giustificare il loro comportamento infrangendo le regole per ottenere solo ciò che vogliono.
Il loro comportamento è inoltre rigidamente strutturato e vi è in loro una profonda incapacità di apprendere dall’esperienza.
Sociopatia e psicopatia. Quali sono i punti in comune e le differenze?
Sebbene la condivisione di comportamenti antisociali sia un tratto comune tra i termini “sociopatico” e “psicopatico”, è importante riconoscere che non tutti i sociopatici manifestano un disturbo antisociale di personalità, a differenza degli psicopatici.
I sociopatici possono sviluppare connessioni emotive con individui specifici, come amici o familiari, all’interno di contesti determinati. Al contrario, gli psicopatici sono completamente incapaci di provare empatia o di stabilire legami emotivi reali.
I sociopatici, sebbene interpretino il bene e il male in modi peculiari, possono dimostrare una coscienza più sviluppata, un senso di colpa e lealtà verso alcune persone, mentre gli psicopatici non provano alcun senso morale nei confronti degli altri, rendendoli particolarmente pericolosi.
Infine, i sociopatici tendono a essere ansiosi e suscettibili allo stress e spesso preferiscono stare da soli a causa delle sfide che affrontano nel rapportarsi agli altri. Gli psicopatici si distinguono invece per la loro freddezza e capacità di agire con piena consapevolezza delle conseguenze, senza provare alcun tipo di disagio o malessere.
Quali possono essere le cause del disturbo antisociale di personalità?
Nonostante le cause esatte dello sviluppo del disturbo antisociale di personalità siano ancora poco chiare, le ricerche indicano una correlazione con i seguenti fattori:
- disturbo dell’attaccamento, collegato anche all’ansia da separazione.
- interazione tra geni e ambiente: recenti studi hanno mostrato come dal punto di vista neurobiologico ci sia un funzionamento anomalo del trasportatore di serotonina. Ulteriori ricerche indicano anche che individui affetti dal disturbo antisociale di personalità mostrano variazioni nella struttura del lobo frontale, la regione cerebrale responsabile di funzioni come la pianificazione e il giudizio.
- stile educativo eccessivamente normativo ed autoritario: genitori che minimizzano i sentimenti dei bambini e cercano solo obbedienza, possono portare i figli a sviluppare comportamenti aggressivi. Questo tipo di educazione trasmette messaggi di ‘dominanza’ e ‘potere’, simili a quelli di un approccio più permissivo che non stabilisce limiti chiari. In questo caso, i bambini possono credere che sia giusto soddisfare i propri desideri senza alcuna restrizione.
Mancanza di amore e di empatia
La mancanza di esperienza d’amore è fondamentale in questi disturbi della personalità. Lo sguardo materno, laddove assente, genera un profondo senso di vuoto che non permette all’individuo di sviluppare l’empatia.
Con questo termine si intende uno sguardo di reciprocità che consente di relazionarsi con l’altro senza confondersi e senza mettere in atto dinamiche sadomasochistiche o di potere.
Come si esegue una diagnosi di disturbo antisociale di personalità?
Il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders) fornisce i seguenti criteri diagnostici. Il disturbo antisociale di personalità, caratterizzato per inosservanza e violazione dei diritti degli altri, si manifesta sin dall’età dei 15 anni con tre o più dei seguenti sintomi (o comportamenti):
- incapacità di conformarsi alle norme sociali per ciò che concerne il comportamento legale, come indicato dal ripetersi di condotte suscettibili di arresto
- disonestà: mentire, usare falsi nomi, o truffare gli altri ripetutamente per profitto o per piacere personale
- impulsività o incapacità di pianificare
- irritabilità e aggressività
- inosservanza spericolata della sicurezza propria e delle altre persone
- irresponsabilità abituale, come indicato dalla ripetuta incapacità di sostenere un’attività lavorativa continuativa o di far fronte ad obblighi finanziari
- mancanza di rimorso e il rimanere indifferenti
Perché venga fatta questa diagnosi, il soggetto deve aver compiuto 18 anni ed il comportamento antisociale non deve manifestarsi esclusivamente durante un decorso psicotico o di un episodio maniacale.
Nella terza sezione del DSM 5, si fa riferimento a due criteri: A e B. All’interno di questi criteri il soggetto deve manifestare una moderata o grave compromissione di due o più aree. Il criterio A fa riferimento a: identità, autodirezione (in cui gli obiettivi sono legati esclusivamente alla soddisfazione personale), empatia ed intimità. Con il criterio B si fa, invece, riferimento alla tendenza alla manipolazione, a correre rischi e all’irresponsabilità.
L’importanza di una diagnosi differenziale
Essendo il Disturbo Antisociale di Personalità all’interno della categorizzazione dei Cluster B del DSM (appartengono a questo cluster il Disturbo Borderline di Personalità, il Disturbo Narcisistico di Personalità ed il Disturbo Istrionico di Personalità) è importante fare una diagnosi differenziale con i disturbi sopracitati. Una diagnosi corretta aiuta a individuare la terapia più mirata.
Anche se lo stereotipo dell’antisociale lo descrive per lo più come violento, anni di clinica hanno permesso di individuare due sottogruppi: uno caratterizzato da modalità passivo-aggressive più dipendenti dall’altro da sé e fortemente manipolatori ed un secondo sottogruppo di persone maggiormente aggressive ed esplosive.
Dal punto di vista dei test, oltre all’MMPI-2 (Minnesota Multiphasic Personality Inventory), che indaga le principali caratteristiche strutturali della personalità, vi è anche il PCL-R (Hare Psychopathy Checklist-Revised) che indaga gli aspetti interpersonali, lo stile di vita, le dinamiche affettive e l’antisocialità.
Il disturbo antisociale di personalità si cura?
Le persone affette da disturbo antisociale di personalità non cercano attivamente nessun tipo di trattamento, poiché spesso non sono consapevoli di essere affette da un disturbo.
Nei casi più gravi, l’avvio di un percorso di psicoterapia avviene dopo che è stata diagnosticata loro la “psicopatia” all’interno di un contesto giudiziario, in seguito a procedimenti legali in cui sono stati coinvolti come imputati.
Ci si rivolge quindi al terapeuta solo dopo aver avuto problemi con la giustizia e dopo essere stato inseriti in un programma riabilitativo.
A prescindere dal trattamento farmacologico specifico, è essenziale stabilire fin da subito un setting chiaro nella psicoterapia con queste persone. Bisogna definire chiaramente le regole, come la frequenza degli incontri, le modalità di pagamento e gli orari. A causa della loro bassa tolleranza alla frustrazione e della tendenza a esternalizzare le responsabilità, il legame terapeutico potrebbe essere messo alla prova.
Imparare a rimanere nel qui e ora
È fondamentale che il terapeuta mantenga un buon controllo delle proprie reazioni emotive (il proprio controtransfert), adottando un atteggiamento di accettazione e non giudizio. I disturbi di personalità variano in intensità: più il paziente riesce a sviluppare un legame e una minima funzione di autocontrollo, più sarà possibile guidarlo e trattarlo efficacemente.
Il lavoro del terapeuta dovrà concentrarsi anche sull’aiutare la persona a mettere in rapporto le sue azioni con i suoi stati mentali interiori. In questo modo si cercherà di rimanere nel qui ed ora. Una condizione di presenza mentale, di mindfulness. Anche rispetto alle aspettative che il terapeuta nutre.
(25 Luglio 2024)