Autolesionismo, che cos’è e quali sono le possibili cause

L'autolesionismo è un comportamento in cui una persona infligge danni a sé stessa in modo intenzionale e consapevole. Vediamo in cosa consiste, quali sono i sintomi e le cause.

Autolesionismo, che cos’è e quali sono le possibili cause

L’autolesionismo è un comportamento attraverso il quale la persona si infligge lesioni e dolore fisico.

Sono tante le forme di auto-ferimento in cui si può declinare l’autolesionismo, così come sono molteplici le ragioni a causa delle quali una persona mette in atto comportamenti di questo tipo.

La dottoressa Monica Scirica, psicologa psicoterapeuta del Santagostino, chiarisce che cosa si intende per autolesionismo, quali sono le sue forme principali e le rispettive ragioni che spingono le persone a infliggersi dolore fisico.

Cosa si intende con il termine autolesionismo?

Il termine autolesionismo è un’etichetta diagnostica che racchiude comportamenti e vissuti diversi tra loro. Anche detto autolesionismo non suicidario o (più correttamente) autolesionismo deliberato, descrive una serie di comportamenti in cui si provocano danni o lesioni a sé stessi in modo intenzionale e consapevole, senza l’intenzione di causare la propria morte.

Le persone che lo praticano spesso utilizzano queste azioni come un modo di affrontare o esprimere il dolore emotivo, lo stress, la frustrazione o altre difficoltà emotive. L’autolesionismo può essere considerato una forma di coping disfunzionale, in cui l’individuo cerca di gestire o alleviare il proprio malessere attraverso il dolore fisico.

Questo tipo di comportamento può declinarsi in:

  • graffi o tagli sulle braccia
  • bruciature su braccia, gambe o zone non visibili

Per infliggersi lesioni, la persona può impiegare diversi strumenti come lamette, cutter, vetri o coltelli. L’obiettivo è concentrarsi sul dolore fisico, ritenuto reale e più sopportabile rispetto alla propria situazione emotiva.

Questo comportamento suscita spesso una forte sensazione di vergogna. Di conseguenza, coloro che lo adottano cercano di nascondere i segni fisici sul loro corpo, temendo di non essere compresi o, addirittura, di essere oggetto di derisione.

I comportamenti suicidari sono forme estreme di autolesionismo. Le condotte che portano all’auto-ferimento – è necessario specificarlo – sono più frequenti e meno gravi rispetto ai comportamenti messi in atto nel suicidio. Non hanno – e questo è l’aspetto cruciale – come obiettivo quello di porre fine alla propria vita.

Incidenza

L’incidenza degli episodi di autolesionismo è maggiore tra la popolazione composta dagli adolescenti e dai giovani adulti (15-20% Ross et al., 2002).

Tra gli adulti, invece, la percentuale si aggira intorno al 6% (Briere & Gil, 1998; Klonsky, 2011). Raramente si manifestano episodi di autolesionismo nei bambini. Una volta superata l’adolescenza, diminuisce il numero di soggetti di sesso femminile che mettono in atto comportamenti autolesivi, mentre aumentano i casi tra la popolazione maschile.

Come si manifesta l’autolesionismo? Sintomi e segni

Secondo il DSM-5 l’autolesionismo non suicidario rientra in una categoria a sé stante. Il criterio di diagnosi riguarda il fatto che la persona si sia inflitta intenzionalmente dei danni sul corpo nell’ultimo anno. In particolare, i comportamenti autolesivi possono essere suddivisi in tre categorie, che vediamo di seguito nel dettaglio.

Autolesionismo maggiore

L’espressione autolesionismo maggiore si riferisce a comportamenti autolesionisti estremamente gravi e pericolosi che comportano danni fisici significativi, come:

  • la castrazione
  • l’enucleazione oculare
  • l’amputazione di un orecchio.

Questi gesti vanno oltre le forme più comuni di autolesionismo, come tagli o graffi superficiali, e possono indicare gravi disturbi psicologici o psichiatrici.

Autolesionismo stereotipico

L’autolesionismo stereotipico è caratterizzato da azioni ripetitive. Alcuni esempi sono:

  • pugni in testa
  • strapparsi i capelli
  • mordersi.

Questo tipo di comportamento viene riscontrato in soggetti con ritardo mentale, autismo o sindrome di Tourette.

Autolesionismo superficiale o moderato

Favazza e Simeon (1995) hanno identificato in questa categoria tre forme di condotte autolesive quotidiane che possono essere:

  • episodiche (bruciarsi o tagliarsi)
  • compulsive (mangiarsi le unghie fino alla carne viva)
  • ripetitive (conficcarsi aghi nella cute o rompersi le ossa).

È fondamentale notare che questa forma di autolesionismo, di solito sporadica, può trasformarsi in un comportamento ripetitivo, iniziando durante l’adolescenza e protraendosi per diversi anni.

In aggiunta a tali categorie, si identifica un tipo di autolesionismo culturalmente tollerato. Si tratta di quello praticato dai giovani associati alla cultura punk emo (derivante dalla parola “emozione”). Questi individui, al fine di affermare il loro appartenere a un gruppo e dichiarare la propria identità, ricorrono all’autolesionismo.

Quali sono le cause alla base dell’autolesionismo?

In genere, l’autolesionismo emerge solitamente nei ragazzi e nelle ragazze tra i 12 e i 14 anni, raggiungendo un picco maggiore tra i 13 e i 15 anni. Con il passare degli anni, la sua incidenza tende a diminuire, manifestandosi meno frequentemente dopo i 20/25 anni.

I comportamenti autolesivi possono iniziare a seguito di:

L’autolesionismo è l’espressione di uno stress molto acuto che sommerge emotivamente la persona causandole un’angoscia fortissima e intollerabile. Si presenta di frequente all’interno di alcuni disturbi quali:

Perché si pratica l’autolesionismo?

L’autolesionismo è una strategia per la regolazione emotiva: di fronte allo stato emotivo indesiderato e vissuto come intollerabile, il soggetto si ferisce cercando di ripristinare uno stato tollerabile

Si potrebbe dire che la messa in atto di comportamenti autolesivi assuma la valenza di una strategia disadattiva di coping (Favazza, 1998).

Vediamo, allora, nello specifico quali possono essere le varie dinamiche che portano un soggetto a farsi del male.

Farsi del male per sentirsi meglio

Quando il dolore emotivo è troppo forte, la persona può cercare di trasferirlo su un piano fisico allo scopo di lenire la sofferenza. La sofferenza fisica, agli occhi di chi pratica autolesionismo, è più reale e gestibile di una sofferenza emozionale. Occupandosi solo del dolore fisico, infatti, non si pensa, almeno temporaneamente, a quello interiore (Chapman et al., 2006; Klonsky, 2007; Kamphuis et al., 2007).

Farsi del male per auto-punirsi

In alcuni casi, l’autolesionismo è l’espressione di un senso di colpa, per cui l’auto-ferimento diventa una forma di auto-punizione.

Farsi del male per ricercare attenzioni

Farsi del male può essere anche una forma di comunicazione. Quando la persona si sente invisibile, l’autolesionismo diventa un modo per attirare l’attenzione su di sé. (Klonsky, 2007).

Autolesionismo nei bambini

L’autolesionismo include una componente volontaria, per cui, è impreciso parlare di autolesionismo nei bambini molto piccoli. I bambini possono mettere in atto comportamenti autolesivi come risposta alla frustrazione, manifestando così la difficoltà di fronteggiare situazioni stressanti.

La frustrazione può originarsi dalla mancanza di strumenti precisi ed efficaci per comunicare i propri bisogni. Pertanto, il bambino si affida al proprio corpo e all’ambiente circostante, che rappresentano i principali mezzi attraverso i quali esplora il mondo, per esprimere la necessità di essere ascoltato.

Molto spesso, il bambino si procura dolore quando:

  • gli viene impedito di fare qualcosa
  • non riesce a fare qualcosa
  • riceve molti stimoli quando è molto stanco.

In queste situazioni, naturalmente, il bambino è incapace di comprendere e gestire la propria tensione emotiva interna e sposta il dolore all’esterno, sul corpo che è una cosa, per lui, tangibile, e quindi più controllabile.

Come si diagnostica?

Per diagnosticare l’autolesionismo, è necessario stabilire se gli atti autolesivi sono finalizzati a procurare la morte o meno. Per fare questo, si valutano le ragioni, l’umore e gli intenti della persona. Gli autolesionisti non suicidari possono affermare di farsi del mare per ottenere sollievo da sentimenti negativi e non per togliersi la vita. Oppure, possono utilizzare metodi che hanno scarse probabilità di portare alla morte.

Tuttavia, è importante ricordare che l’autolesionismo è uno dei fattori di rischio che predispongono al suicidio. Spesso, nell’iter diagnostico si rende utile parlare anche con familiari e persone vicine alla persona autolesionista per valutare eventuali cambiamenti nell’umore e situazioni di stress.

Ai fini della diagnosi, è necessario, quindi, stabilire:

  • in che modo il soggetto si ferisca (per esempio: si taglia, si brucia, etc.)
  • con quale frequenza 
  • da quanto tempo 
  • a quale scopo.

Infine, vengono valutati eventuali disturbi mentali e quante probabilità ha la persona di tentare il suicidio.

Come si cura?

Il trattamento dell’autolesionismo necessita di un approccio multidisciplinare, coinvolgendo diverse figure professionali. La cura deve essere personalizzata in base alle esigenze specifiche della persona, e deve essere sviluppata in collaborazione sia con il paziente che con i familiari e altre figure di riferimento significative.

Gli obiettivi del trattamento includono la prevenzione dell’escalation da comportamenti di autolesionismo verso comportamenti suicidari. Allo stesso tempo, si mira a ridurre o eliminare i comportamenti autolesivi e qualsiasi altro comportamento a rischio. Inoltre, il trattamento si propone di migliorare:

  • il funzionamento sociale 
  • le capacità di adattamento 
  • la qualità di vita e/o le condizioni mediche associate, se presenti.

Alcuni interventi psico-sociali efficaci nel ridurre gli episodi di autolesionismo includono attualmente la terapia dialettico-comportamentale (DBT) e la terapia basata sulla mentalizzazione (MBT). Non esiste al momento alcun farmaco con un’efficacia specifica dimostrata nel trattamento dei comportamenti autolesionistici. Tuttavia, all’interno di un approccio multidisciplinare, la terapia farmacologica può risultare necessaria per trattare eventuali disturbi psicopatologici associati.