Sindrome di Medea

Il figlicidio è un gesto estremo che richiama sempre grande attenzione. Numeri, dati e verità di un gesto violento, epilogo di una genitorialità difficile.

Sindrome di Medea

La sindrome di Medea, che porta una madre a uccidere i propri figli, è una condizione estremamente rara, ma non smette di suscitare grande attenzione e molte domande.

Da anni la ricerca scientifica si sta impegnando per cercare di comprendere il fenomeno del figlicidio, ovvero l’uccisione di un figlio per mano di un genitore. L’obiettivo è quello di anticipare ed evitare che accada. A questo fine, risulta importante la definizione dei profili dei genitori e il contesto in cui questo genere di crimine viene perpetrato.

Che cosa sappiamo delle cause che si nascondono dietro un figlicidio? Chi sono i genitori che commettono questi delitti? In questo articolo, esamineremo i dati, le realtà di questo gesto tremendo ed estremo e i possibili disturbi che portano a compierlo.

Perché si chiama sindrome di Medea?

La sindrome di Medea prende il nome dal celebre personaggio della mitologia greca, che uccide i suoi figli come atto di vendetta nei confronti del marito.

Medea è figlia di Eeta, re della Colchide, e di Ecate, dea della magia e degli incantesimi, da cui ha ereditato poteri soprannaturali. Si serve delle sue arti magiche per aiutare Giasone, che è giunto nella sua terra per conquistare il mitico vello d’oro e rivendicare così il trono di Iolco che gli è stato sottratto da Pelia, fratellastro del padre. Per amore di Giasone, Medea tradisce la sua patria e fugge con lui in Grecia, arrivando a consumare orribili crimini contro la sua stessa famiglia. Riesce però nell’intento di iniziare una nuova vita con lui e dalla loro unione nascono due figli.

Dieci anni dopo, tuttavia, Medea è abbandonata da Giasone, che accetta in sposa Glauce, figlia del re di Corinto Creonte, per poterne ereditare il regno. Consumata dalla gelosia, Medea punisce Giasone con una vendetta estrema: uccide prima Glauce e poi i figli avuti da lui, privandolo così di ogni possibilità di continuare la propria stirpe.

Figlicidio: le statistiche

Le statistiche e i dati relativi ai figlicidi (definiti infaticidi se si verificano entro il primo anno di età dell’infante) indicano che questo fenomeno interessa all’incirca 5 bambini su 100 mila nati.

In Italia, negli ultimi 20 anni, si sono verificati 535 casi di figlicidio, con 340 minori uccisi dal 2000 al 2013. Il 2014 è stato l’anno più tragico con 39 casi, seguito dal 2018 con 33. Dal 2020 al 2023 sono stati registrati 31 casi.

Sebbene i numeri possano sembrare bassi, attraggono una considerevole attenzione sia da parte della stampa che del pubblico, che si interrogano sulle ragioni che muovono questi crimini.

Quando le madri si macchiano di figlicidio

Analizzando le percentuali, le madri rappresentano il 59% dei genitori che commettono un figlicidio, mentre i padri rappresentano il 41%, con un 2% che include i patrigni.

Nella maggior parte dei casi l’episodio violento accade durante il primo anno di vita del bambino, ma con una differenza: le vittime per mano materna sono statisticamente più giovani delle vittime uccise dai padri. Inoltre nel 60% dei casi il figlicidio viene seguito dal suicidio del genitore. La percentuale arriva all’86% dei casi quando a essere ucciso è più di un figlio.

Le modalità con cui le madri tolgono la vita ai propri figli possono variare. Si segnalano l’annegamento e l’avvelenamento.

Anche le condizioni psicologiche sono diverse: nella maggior parte dei casi le madri riescono a rimanere lucide e in una occasione su quattro cercano poi di occultare il cadavere della vittima. Nello specifico si segnala un 50% di casi, tra le mamme infanticide, di un vero e proprio disturbo clinico, come psicosi o depressione. Nel 76% dei casi le madri sono considerate non in grado di intendere e volere, e questo per un vizio di salute mentale.

Per il resto, le madri che si macchiano di omicidio sono:

  • poco abbienti
  • spesso giovani e single
  • nate in una famiglia poco accudente.

Quando il padre è carnefice

Molto più spesso rispetto alle madri, quando i padri uccidono i propri figli sono sotto l’effetto di sostanze stupefacenti quali alcol o droghe (42% dei casi contro l’11% delle madri) e usano con maggiore frequenza un’arma da fuoco (27% contro il 5% delle madri). Il figlicidio commesso dai padri tende ad avere una natura impulsiva più frequentemente che nelle madri (41% contro il 13%).

Nel caso dei padri, bisogna aggiungere che il movente spesso è la gelosia verso i propri figli. Si tratta di uomini che soffrono di disturbi di personalità o che abusano di alcol, oltre ad avere uno storico di condotte violente. Quando è un padre a commettere un figlicidio, solo nel 18% dei casi viene giudicato incapace di intendere e di volere.

La presenza di una vera e propria psicopatologia è rara, ma è stato definito un profilo socio-relazionale tipico. Le caratteristiche sono:

Quale è la principale motivazione che spinge una mamma ad uccidere il figlio?

Le motivazioni che possono essere alla base di un figlicidio sono diverse. Se si escludono le patologie mentali e si dà ascolto alle parole di chi ha commesso questo delitto, si riesce a individuare almeno quattro “cause”, o moventi:

  • maternità non desiderata: “Volevo sbarazzarmi di un bambino non desiderato” e affermazioni simili vengono espresse nel 24% dei casi
  • attacco psicotico acuto: una causa rintracciabile nel 21% dei casi, dichiarata con espressioni tipo: “Il demonio ha posseduto mio figlio”
  • per vendetta: nel 12% dei casi si verifica la sindrome di Medea, che – come abbiamo visto – porta la madre a uccidere il proprio figlio per colpire il partner
  • pietà o protezione del proprio figlio dagli orrori del mondo. Questa motivazione viene data nel 25% dei casi e delinea un quadro di omicidio compassionevole.

Sindrome di Medea e alienazione genitoriale

Secondo la definizione fornita dalla lettura di Jacobs, la sindrome di Medea ha una stretta connessione con l’alienazione genitoriale. L’alienazione genitoriale è un disturbo che si verifica principalmente in contesti di controversia per la custodia dei figli, in cui un genitore (alienatore) denigra l’altro genitore (genitore alienato) e sfrutta il bambino come strumento per farlo.

Una patologia che emerge quindi come un’estrema conseguenza di una crisi di coppia, in cui uno dei genitori utilizza il bambino come mezzo di vendetta. Questo scenario può portare a conseguenze tragiche, come il figlicidio, quando la madre arriva al punto di uccidere il proprio figlio come parte del suo atto vendicativo.

Figlicidio: fattori predisponenti

Alla base del figlicidio ci sono fattori che creano i presupposti di una instabilità psichica ed emotiva. Si possono distinguere diversi ordini di fattori: sociali, psicologici e persino fisici.

Fattori sociali

Tra i fattori sociali possono essere ricordati:

  • uno scarso supporto sociale ricevuto dalle madri, durante la gravidanza, svolge un ruolo cruciale. Una donna che sta per diventare madre non dovrebbe essere mai lasciata da sola. Ha bisogno di accudimento e gesti amorevoli, anche quando ha difficoltà nel confidarsi e nel condividere ansie e paure di una fase della propria vita che teme di non sapere gestire
  • la povertà: l’instabilità economica e i bassi guadagni su base mensile sono elementi che si ritrovano nella depressione post partum e il figlicidio
  • la giovane età e la scarsa esperienza di vita che ne consegue.

Fattori psicologici

I fattori psicologici prevedono:

  • depressione o, più in generale, disturbi psichiatrici nei primi sei mesi di gravidanza (sia per le madri che per i padri)
  • stress di natura finanziaria o riconducibili a problemi di salute
  • una gravidanza non pienamente voluta né desiderata. La nascita di un bambino è un fatto che altera definitivamente la vita dei genitori, e a volte può capitare che la metabolizzazione di questo cambiamento non abbia i presupposti adeguati.

Ogni madre, inoltre, dopo il parto attraversa una serie di piccoli lutti, non sempre facili da sostenere.
Il momento della nascita comporta un distacco completo dal bambino portato in grembo per nove mesi, a cui si aggiunge l’adattamento al bambino reale, che sostituisce l’immagine che la madre ha idealizzato durante la gravidanza. La nascita di un figlio può inoltre stravolgere la visione della maternità che la donna aveva prima di partorire e la propria percezione di sé come madre.

Fattori fisici

Ci sono infine altri fattori da tenere in considerazione. Il diabete in gravidanza è, per esempio, un fattore di rischio da non sottovalutare, dal momento che spesso l’equilibrio emozionale risulta minato da squilibri biologici. Un dato che sottolinea come prendersi cura della salute passi soprattutto dalla tavola e dalla scelta di uno stile vita adatto ai bisogni psicofisici.

Anche le infezioni urinarie ricorrenti sembrano essere collegate a malesseri psicologici. Stando ad alcune recenti teorie, la causa risiede nel nostro intestino: una cattiva alimentazione sarebbe alla base di un meccanismo infiammatorio delle mucose, e una conseguente alterazione del sistema immunitario. Tutto questo comporterebbe condizioni di depressione, ansia, irritabilità. Senza escludere infezioni topiche, di tipo genitale e urinario.

Sindrome di Medea: riconoscere i sintomi e fare prevenzione

La precocità nell’intercettare ogni fattore di rischio è il passaggio chiave. Isolamento, questioni economiche, rapporto conflittuale tra i genitori, famiglia di origine anaffettiva: tutti questi elementi possono concorrere alla creazione dei presupposti per cui uno dei due genitori si ritrovi a uccidere il proprio figlio.

Tra i sintomi a cui fare più attenzione troviamo:

  1. aggressività nei confronti del proprio figlio, sia a livello fisico che psicologico
  2. stato confusionale: la madre è incapace di comprendere appieno le sue azioni e le conseguenze che ne derivano
  3. tendenze suicide: in alcuni casi estremi, la madre potrebbe manifestare tendenze suicide, risultato di una profonda disperazione
  4. impulsività
  5. senso di solitudine: la madre potrebbe sentirsi emotivamente isolata e abbandonata, aumentando la sua connessione esclusiva con il figlio.
  6. rabbia e frustrazione.

Rivolgersi a un professionista per un servizio specialistico di psicologia pre e post-natale può essere un primo passo per affrontare qualsiasi questione si frapponga tra i genitori e il benessere dei figli. Si può iniziare prenotando un primo colloquio clinico online.