Quando parliamo di altruismo ci riferiamo ad una delle fondamenta su cui si basa l’interazione sociale.
Compiere delle azioni a beneficio di altri, senza un ritorno personale tangibile, può accadere per senso di appartenenza a gruppi primari, come è il caso della famiglia.
Dal punto di vista neurologico, poi, compiere un gesto altruistico determina una condizione di piacere. Cosa ci racconta invece la psicologia sulle ragioni profonde che determinano un comportamento altruistico?
Cosa si intende per altruismo, nella psicologia?
In psicologia, per indicare una prima definizione di riferimento, con il termine altruismo si intende la tendenza a compiere azioni a beneficio degli altri senza ricercare un tornaconto personale. L’altruismo quindi ha il significato di agire per il bene comune e per aiutare gli altri in maniera disinteressata. Si distingue dunque dall’egoismo, in cui le azioni sono mosse da interessi personali.
L’altruismo può esprimersi, nella nostra quotidianità, in diversi modi. Attraverso donazioni, volontariato, cortesia verso gli estranei. In psicologia si studiano i meccanismi e le motivazioni sottostanti i comportamenti altruistici nell’essere umano.
Come si comporta una persona altruista?
Una persona con spiccate caratteristiche altruistiche tende ad aiutare gli altri in maniera pulita, per così dire, senza secondi fini e senza attendersi necessariamente qualcosa in cambio. Ad esempio, potrebbe prestare gratuitamente la propria opera come volontario, donare ad associazioni benefiche, assistere persone in difficoltà anche a costo di sacrifici personali, difendere qualcuno da un’ingiustizia.
L’altruista prova empatia e compassione per il prossimo, e questo lo spinge ad agire per il benessere dell’altra persona. Spesso gli altruisti hanno un alto senso di giustizia e sono persone generose, attente ai bisogni altrui. Possono anche essere motivate da valori etici e morali profondi, che li spingono a compiere gesti semplici ma significativi, come dare due euro ad una persona senza tetto, aiutare una persona anziana a portare le buste della spesa.
Perché una persona è altruista?
Possono esserci diverse cause del perché una persona si comporti in modo altruistico:
- cause di natura biologica, dal momento che essere più altruisti verso chi appartiene alla nostra famiglia, e dunque ci è consanguineo, può determinare maggiori possibilità di sopravvivenza per i nostri geni. Si tratterebbe di una selezione di parentela
- cause di tipo neurologico perché i centri della ricompensa e quindi del piacere, nel nostro cervello, sono attivati da gesti altruistici
- ragioni cognitive, nel caso in cui aiutare qualcuno che si trova nella sofferenza ci fa stare bene perché rafforza l’idea positiva che abbiamo di noi.
I modelli teorici che cercano di motivare l’azione altruistica sono tuttavia molti, e spesso anche in netta contraddizione tra loro. Secondo le teorie dei sistemi sociali, per fare un esempio, l’azione altruistica è stimolata da un contesto di norme in cui spicca il dovere di reciprocità.
Secondo la teoria dell’altruismo reciproco, elaborata negli anni ‘70 da Robert L. Trivers, biologo e sociobiologo statunitense, si dà un atto altruistico fuori da un contesto di parentela quando:
- il danno che potrebbe avere il benefattore è sempre più basso del beneficio che riceve la persona aiutata
- è possibile che il benefattore sia a sua volta destinatario di un gesto altruistico da parte di chi è stato aiutato.
L’aiuto determina quindi vantaggi quali il sollievo, l’autostima e l’approvazione sociale, la possibilità di venire ricambiati.
Come si dice quando una persona non è altruista?
Quando una persona non compie azioni altruistiche, ma pensa solo a sé stessa e al proprio tornaconto, in psicologia si parla di egoismo o egocentrismo. L’egoista tenderà a tenere per sé le proprie risorse e il proprio tempo, senza preoccuparsi del benessere altrui o della collettività.
In alcuni casi, un egoismo esagerato può derivare da meccanismi di difesa come l’eccessiva necessità di autoaffermazione o la paura di essere manipolati e usati dagli altri. E comunque, se portato all’estremo e non compensato dalla considerazione anche del bene comune, l’egoismo può avere effetti nocivi a livello personale e sociale.
Qual è la differenza tra comportamento prosociale e altruismo?
Il comportamento prosociale indica azioni volte ad aiutare o giovare ad altre persone o alla società, ma non necessariamente in maniera completamente disinteressata. Ad esempio, si può aiutare qualcuno, ad esempio ascoltando un amico che sta attraversando un periodo di sofferenza e di lutto, aspettandosi di ricevere qualcosa in cambio. Anche soltanto un sorriso di ringraziamento, o anche solo il riconoscimento del gesto.
L’altruismo invece spinge ad agire per il bene altrui in modo più genuino, senza alcun tornaconto personale. La persona altruista prova un’empatia sincera e si attiva per gli altri senza curarsi di ricevere qualcosa in cambio. Dunque, mentre il comportamento prosociale può essere anche interessato, l’altruismo rappresenta la forma più genuina di azioni per il bene comune.
Come insegnare I’altruismo?
Per promuovere l’altruismo nei bambini e nelle nuove generazioni, gli psicologi raccomandano in primo luogo di offrire il buon esempio, compiendo gesti altruistici nel contesto familiare e parlandone in modo positivo.
A questo proposito, è possibile insegnare ai bambini:
- l’interesse per i bisogni e le priorità altrui
- manifestare gratitudine in contesti nei quali sono aiutati
- estendere il circolo delle persone attorno a loro, così da aiutarli a capire come ogni decisione può influenzare, nel bene e nel male, le persone con cui hanno a che fare.
Non da ultimo, bisogna far sì che i bambini imparino a gestire i propri sentimenti negativi e distruttivi, in modo tale che la vergogna, la rabbia oppure la gelosia non mettano in secondo piano la possibilità di impegnarsi per aiutare l’altra persona.
(2 Agosto 2023)