Pensieri negativi, convinzione che il futuro non presenterà nulla di buono per sé, una sostanziale impossibilità ad essere felici e una continua svalutazione. Questi, in sintesi, i pensieri e l’attitudine di chi soffre della sindrome di Cassandra.
Quali origini hanno queste false credenze? E in che modo è possibile disinnescarle, affinché il soggetto abbandoni i propri pensieri catastrofici per riprendere il cammino verso la serenità e la felicità? Risponde la dott.ssa Francesca Pelizzoni, psicoterapeuta del Santagostino esperta in psicodramma classico.
Cos’è la sindrome di Cassandra?
La sindrome di Cassandra è un disturbo di tipo comportamentale che porta, chi ne soffre, a esprimere e formulare in modo sistematico profezie di tipo catastrofico. Non solo per sé ma anche per gli altri.
Questo pessimismo, espresso con frasi del tipo: “Sicuramente non riuscirò a farcela”, oppure “Questo impegno è troppo gravoso per me, certamente qualcosa andrà storto”, può portare il soggetto a disinvestire sempre più nell’impegno, a non rischiare, percorrendo abitudini sicure e note. Il rischio è che il soggetto pronunci continue profezie che si autoavverano
Questa falsa sicurezza può determinare sempre maggiore insoddisfazione, fino a causare stati d’ansia o forme di depressione.
Cosa rappresenta il mito di Cassandra?
Come altre condizioni psicologiche, si pensi alla sindrome di Medea o al complesso di Edipo in psicanalisi, questa sindrome prende spunto dalla mitologia greca. Il mito greco di Cassandra racconta, infatti, la storia di questa giovane donna, figlia del re di Troia Priamo e di sua moglie Ecuba, di cui si innamora il dio Apollo.
Per ingraziarsela Apollo le regala il dono della profezia. Cassandra rifiuta l’interesse del dio che, per vendicarsi, farà sì che nessuno potrà mai credere alle profezie che lei pronuncerà. Profezie quali il rapimento di Elena e la conseguente guerra di Troia.
È stato Gaston Bachelard, filosofo francese, a coniare il termine complesso di Cassandra nel 1949
Quali sono i sintomi di questo disturbo psicologico?
La persona che soffre di questa sindrome è portata a nutrire aspettative catastrofiche sul proprio futuro e sul futuro altrui, previsioni che non vengono credute dagli altri. Possiede, inoltre, alcune caratteristiche ricorrenti: agisce per mettersi alla prova in ogni occasione possibile, vive un costante sentimento di paura, ha una scarsa autostima e ha difficoltà a riconoscere il proprio valore, il locus of control è sbilanciato costantemente verso l’esterno.
Le persone che soffrono di questa sindrome mostrano pertanto notevoli difficoltà nell’amare sé stesse. Allo stesso tempo, è possibile che si sviluppino episodi di depressione reattiva, specie in seguito a eventi negativi vissuti come profezie autoavveranti.
Si instaura un circolo vizioso per il quale la persona affetta da questa sindrome tende a sbagliare perché l’errore o la mancata riuscita sono quanto ci si aspetta inevitabilmente. Sul versante relazionale e affettivo, chi soffre della sindrome di Cassandra cerca relazioni tossiche imperniate sulla distanza emotiva, nelle quali il partner tende a confermare la propria autosvalutazione.
Da cosa può originare questa sindrome?
È compito dello psicologo, o dello psicoterapeuta, indagare in sede diagnostica l’origine del perché il soggetto tenda patologicamente e in modo disfunzionale al catastrofismo e all’autosabotaggio.
In sede teorica è comunque possibile indicare come la mancanza di cure e di affetto, sia durante la prima infanzia sia durante la seconda infanzia, possono contribuire ad una bassa autostima e alla costante ricerca dell’approvazione altrui. Il soggetto rischia di sviluppare la cherofobia. Più semplicemente, ha paura della felicità.
Il lasciarsi andare alla felicità, si può integrare, implica poi l’aprirsi alla possibilità del fallimento, o alla eventualità che un fatto spiacevole possa accadere. Il precludersi sistematicamente la possibilità di essere felici può essere considerato un’espressione della mania di controllo.
Come si cura la sindrome di Cassandra?
Ritrovare la strada per incontrare il vero sé, e accantonare definitivamente profezie autoavveranti, è possibile. Per intraprendere questo percorso è necessario un supporto psicologico professionale.
Attraverso un percorso terapeutico, infatti, la persona potrà esplorare la propria storia con l’ottica di avere maggiore conoscenza del proprio disturbo e di quanto la propria visione catastrofica lo porti ad agire in modo disfunzionale.
Potrà inoltre imparare a distinguere le profezie autoavveranti dai dati di realtà, così da imparare a vedere con maggiore consapevolezza e serenità ogni possibile avvenimento e i suoi potenziali esiti, non solo quelli negativi. Così da agire in modo più consapevole e funzionale.
(3 Ottobre 2022)