Sindrome di Peter Pan (o neotenia psichica): che cos’è?

La sindrome di Peter Pan, che non è una psicopatologia presente nel DSM-V, può portare l’adulto ad avere comportamenti, pensieri e atteggiamenti tipici della età dell’infanzia. Rifiutando di abbracciare e vivere a pieno l'età delle responsabilità.

Sindrome di Peter Pan (o neotenia psichica): che cos’è?

Quando una persona si rifiuta di crescere e non vuole assumersi le proprie responsabilità, di individuo adulto, si dice soffra della sindrome di Peter Pan.

Ma cos’è esattamente? È una vera psicopatologia o no?

Diventare adulti significa affrontare tappe come prendere decisioni, correre dei rischi, prendersi cura di sé e degli altri, affrontare fallimenti, imparare e rialzarsi. Questi momenti definiscono l’età adulta.

La sindrome di Peter Pan può interrompere questo percorso per molto tempo e, a volte, è necessario il supporto di un professionista per rimettersi in carreggiata. Quali sono le cause e come si comporta chi ne soffre?

Cosa vuol dire la sindrome di Peter Pan?

La sindrome di Peter Pan, che dal punto di vista strettamente scientifico si chiama neotenia psichica, è un insieme di comportamenti che possono essere definiti come assenza di volontà o non capacità di accettare e gestire le responsabilità tipiche della vita adulta. Bisogna essere chiari su un aspetto: questa sindrome non è presente nel DSM-V, non rappresenta quindi una patologia o condizione psichiatrica in senso stretto. È piuttosto uno stile o un modello di comportamento.

A parlare per la prima volta di sindrome di Peter Pan è stato Dan Kiley, psicologo statunitense, in un suo testo del 1983 intitolato The Peter Pan Syndrome: Men who have never grow up. In Italiano: La sindrome di Peter Pan. Uomini che non sono mai cresciuti. Kiley si riferiva agli adulti che, pur cresciuti dal punto di vista fisico e biologico, non risultavano maturati dal punto di vista emotivo.

Questa sindrome, in altre parole, si specifica attraverso comportamenti infantili attuati da adulti, e come conseguenza la persona che ne soffre esprime non solo paura di crescere, ma vive anche una fuga dalla realtà e in definitiva da sé.

Come si chiama la sindrome di Peter Pan al femminile

Questa sindrome prende nome dal personaggio di fantasia Peter Pan, protagonista di Peter e Wendy, romanzo e testo per il teatro scritti nel 1904 dall’autore inglese James Matthew Barrie.

Parallelamente esiste anche quella che viene definita sindrome di Wendy, chiamata anche sindrome della crocerossina, che interessa principalmente le donne ma può riguardare anche gli uomini.

La sindrome di Wendy è una sorta di perfezionismo altruistico, che porta la persona ad agire per il bene esclusivo del proprio o della propria partner, sacrificando anche i propri bisogni e desideri.

Chi soffre della sindrome di Peter Pan come si comporta?

Ci sono alcuni atteggiamenti e comportamenti, nei confronti di sé e nei confronti degli altri, che definiscono chi soffre di questa sindrome. Tra i principali si possono indicare:

  • incapacità di prendere decisioni: la crescita e l’approdo all’età adulta hanno come tratto distintivo il compiere delle scelte. Chi soffre di neotenia psichica tende a procrastinare, a non prendere affatto decisioni, o delega ad altri tanto la scelta quanto l’iniziativa
  • cura di sé affidata ad altri: l’adulto che si comporta da bambino dipende totalmente dagli altri per la propria sopravvivenza, e ha enorme difficoltà nel compiere un’azione per il proprio bene
  • incapacità di affrontare il confronto o il conflitto: nel momento in cui sorgono attriti in un rapporto, che sia amicizia, amore o accada in contesto lavorativo, questi adulti rimasti bambini scelgono la strada dell’evitamento, fino ad isolarsi. In questo modo possono scalzare la responsabilità di affrontare ogni questione
  • difficoltà nelle relazioni a lungo termine: l’adulto rimasto bambino vive un’enorme difficoltà nell’assumere l’impegno di una relazione amicale o d’amore, soprattutto con il passare del tempo
  • gestione non accorta dei soldi: l’eterno bambino può non comportarsi in modo responsabile anche nella gestione del denaro, con possibili ripercussioni sulla tenuta dei propri risparmi.

Altro aspetto caratterizzante è la mancanza di interesse nel migliorare, sotto ogni punto di vista: emotivo, cognitivo e comportamentale. È come se una persona con sindrome di Peter Pan vivesse in un eterno presente di irresponsabilità e inconsapevolezza.

Come mai un adulto si comporta da bambino?

Primi anni di vita e rapporto con i genitori. Questi sono i due elementi che entrano in gioco come fattori per il possibile sviluppo della sindrome dell’eterno bambino.

Stando agli studi di Erik Erikson, che si è occupato di psicologia dello sviluppo, un aspetto fondamentale è lo stile di attaccamento che l’individuo si è ritrovato a sviluppare proprio durante l’infanzia. Il bambino è infatti capace di sintonizzarsi emotivamente con i propri caregiver. Questa vicinanza emotiva può essere compromessa nei casi di stile di attaccamento evitante, quando il bambino adotta la strategia di non esprimere le proprie emozioni per timore di porre una distanza emotiva con i caregiver. Diventato adulto, ecco che si ha comunque difficoltà nel vivere una intimità emotiva.

Susan Krauss Whitbourne, psicologa dello sviluppo, afferma che a contribuire all’insorgenza di un atteggiamento evitante, in età adulta, può essere lo stile educativo genitoriale quando è eccessivamente protettivo, come nel caso dei genitori elicottero, o al contrario troppo permissivo. Proprio nel caso dei genitori elicottero i bambini, poi diventati adulti, conservano le conseguenze dell’eccesso di controllo, come ad esempio le difficoltà nel regolare le proprie emozioni, uno scarso senso di autoefficacia, difficoltà nell’autostima e nella costruzione della propria personalità, o identità.

Neotenia psichica e disturbo narcisistico di personalità

Alcune delle caratteristiche della sindrome di Peter Pan si riscontrano anche nel disturbo narcisistico di personalità.

I tratti di personalità in comune sono il non volere assumersi responsabilità, il mettere sempre al primo posto i propri obiettivi senza tenere conto dei bisogni e degli obiettivi altrui, oltre all’attribuire agli altri le colpe e le responsabilità delle proprie mancanze o fallimenti.

Cosa fare se si ha la sindrome di Peter Pan?

Ci sono delle azioni concrete che possono essere assunte su base quotidiana, nel caso in cui si avesse la percezione di patire una difficoltà nel vivere in modo consapevole e responsabile nel mondo adulto.

Si può iniziare stabilendo piccoli obiettivi realistici, così da imparare gradualmente ad assumersi responsabilità. Obiettivi quali: riordinare la propria casa, o fare ordine tra documenti e bollette da pagare. In questo modo si può costruire, di obiettivo in obiettivo, fiducia nelle proprie capacità di affrontare responsabilità.

Gli obiettivi possono essere inquadrati in ottica di gestione del tempo, che significa organizzare la propria giornata, dedicando il giusto tempo al lavoro, agli hobby e al relax. L’equilibrio è un fattore fondamentale per non sentirsi sopraffatti dalle responsabilità, ed è particolarmente importante quando si decide di iniziare un percorso di assunzione di responsabilità e di buoni propositi.

Sindrome di Peter Pan e psicoterapia

Quella di Peter Pan è una sindrome che può essere anche definita come non volontà o incapacità di uscire dalla propria zona di comfort. Fermo restando che non si sta parlando di una psicopatologia propriamente detta, è bene precisare che non assumersi responsabilità può avere ripercussioni sul proprio benessere psicologico, mette e a rischio la crescita complessiva.

Quando l’effetto di sostanziale inibizione dell’essere un eterno bambino ostacola in modo significativo la vita della persona, non è da escludere il supporto professionale. La psicoterapia cognitivo-comportamentale può aiutare nell’affrontare le questioni legate allo stile di attaccamento, alle eventualità disfunzionalità del rapporto con i propri genitori.

La TCC aiuta anche a sviluppare una gestione più sana e integrata delle proprie emozioni affrontando, se necessario, episodi depressivi che possono caratterizzare il vissuto interiore di chi ha difficoltà ad approdare definitivamente alla vita adulta.