Il perfezionismo, inteso come il porsi obiettivi elevati e fare sempre meglio, rappresenta una sana spinta alla nostra soddisfazione personale.
Quando il desiderio di migliorarsi diventa eccessivo e si trasforma in fonte di stress, insoddisfazione o ansia, si rischia il perfezionismo patologico.
Fin dalla nascita siamo sottoposti a pressioni per il raggiungimento di obiettivi e per il miglioramento dei nostri risultati.
Riceviamo costantemente valutazioni, premi, critiche, correzioni e spinte a migliorarci. Ma dove sta il confine fra un sano desiderio di crescere e raggiungere obiettivi importanti e un’ossessione patologica?
Cos’è il perfezionismo?
Con il termine perfezionismo si indica un tratto della personalità che porta rifiuto di qualsiasi tipo di perfezione. Per definirlo in modo più esteso, il perfezionismo è l’abitudine a pretendere da sé o da altri delle prestazioni di maggiore qualità rispetto a quanto la situazione richiede.
Come prima conseguenza la persona perfezionista può ritrovarsi a esperire uno stato d’ansia continuativo, che è diretta conseguenza del bisogno di fare e agire con risultati e performance sempre migliori. Non a caso, si parla di ansia da perfezionismo in simili circostanze.
Sul perfezionismo sono state date diverse definizioni. Può essere utile ricordare una prima distinzione, tra perfezionismo normale e nevrotico, operata da D. E, Hamacheck in un suo studio del 1978.
Nel perfezionismo normale gli errori sono visti e vissuti come possibile crescita e senza alcuna considerazione del giudizio negativo altrui; in quello nevrotico si ha costante paura di fallire e svalutazione degli obiettivi raggiunti, sottolineando i propri errori.
In questo modo si ha una diminuzione dell’autostima, perché viene considerata necessaria l’approvazione altrui per la costante dimostrazione di avere raggiunto i propri obiettivi, che diventano via via più alti e irrealistici.
In modo altrettanto interessante, L. A. Terry-Short parla di perfezionismo sano e perfezionismo maladattivo. Il primo deriverebbe dalla storia del paziente quando è nutrita di rinforzi positivi, mentre il secondo viene considerato una conseguenza di rinforzi negativi.
Cosa vuol dire essere perfezionisti?
Per poter dare un significato al termine “perfezionista” è necessario fare una distinzione tra il perfezionista sano e il perfezionista patologico.
Il perfezionista sano è una persona che desidera migliorarsi continuamente, ma lo fa con coscienza, ovvero definisce standard elevati, ma realistici. Prova soddisfazione nello svolgere compiti difficili per cui ha dedicato tempo e impegno, ha piacere nel risolvere sfide impegnative e stabilisce obiettivi dopo aver valutato attentamente priorità, benefici e costi.
L’essere perfezionisti diventa invece pericoloso quando la pura gratificazione nel raggiungere gli obiettivi prefissati, si trasforma in ossessione.
Gli psicologi canadesi, Hewitt e Flett, distinguono due tipi di perfezionismo:
- autodiretto, ovvero la tendenza personale a porsi obiettivi troppo elevati e, quindi, impossibili da raggiungere: ne consegue la paura di commettere errori e, talvolta, un eccesso di autocritica e bassa autostima
- eterodiretto, ovvero la tendenza a pretendere che siano gli altri a fornire delle prestazioni impeccabili, conformi ai propri standard.
Gli specialisti del settore psicologico hanno avanzato anche un’altra forma di perfezionismo, quella socialmente imposta: si tratta della falsa convinzione che gli altri abbiano nei nostri confronti aspettative eccessivamente elevate e che l’unico modo per avere la loro approvazione sia soddisfarle.
Quando una persona è perfezionista patologica?
Randy Frost, docente di Psicologia allo Smith College, distingue alcuni fattori principali che caratterizzano i perfezionisti patologici. Tra i “sintomi”, o segnali, più evidenti elenchiamo:
- esagerata preoccupazione di commettere errori, con conseguenti ansia, paura e timore del giudizio nelle prestazioni
- standard personali irragionevoli e troppo elevati, con conseguenti vissuti di incapacità e inadeguatezza a seguito della difficoltà di raggiungerli
- insicurezza e timore di non aver compiuto adeguatamente il proprio dovere
- bisogno di organizzazione con eccessiva meticolosità sul lavoro o nel tenere in ordine l’ambiente domestico
- percezione che gli altri nutrano elevate aspettative nei confronti del soggetto
- percezione che gli altri siano o siano stati eccessivamente critici.
Come capire se si è perfezionisti?
Ci sono inoltre diversi comportamenti e credenze di tipo disfunzionale, indicati nel DSM-IV TR, che aiutano a inquadrare pensieri e azioni di un perfezionista patologico:
- eccessiva preoccupazione per liste, organizzazione e dettagli a svantaggio dell’obiettivo
- perfezionismo che si traduce in tempi lunghi per portare a termine un lavoro
- dedizione al lavoro eccessiva, che non ha ragioni di tipo economico e che interferisce con hobby e passatempi
- impossibilità di sbarazzarsi di oggetti ormai vecchi e inservibili, che sono per di più privi di alcun valore affettivo
- rigidità su questioni etiche o morali, che non sono riconducibile a nessuna confessione religiosa o credo politico
- enorme difficoltà nel delegare azioni o al lavoro di gruppo
- stile di vita che verte su un eccesso di risparmio, sia per sé che verso gli altri
- testardaggine e inflessibilità.
Per avere diagnosi di perfezionismo devono essere presenti almeno 4 di questi comportamenti.
Scale di valutazione per il perfezionismo patologico
Sempre in ambito diagnostico, ci sono diversi strumenti che permettono una valutazione approfondita e multidimensionale del perfezionismo patologico. Si sta parlando di scale di valutazione.
L’aggettivo multidimensionale sta a indicare un approccio che integra il tipo di problematica da trattare in contesto non solo psichico e fisico ma anche di relazione, di funzionalità della persona e tenendo conto anche degli ambienti in cui si ritrova a vivere.
Tra le principali scale di valutazione si possono indicare:
- Almost Perfect Scale-Revised (APS-R). Questa scala misura le dimensioni del perfezionismo includendo alte aspettative di sé, discrepanze, ovvero la differenza tra le aspettative e la percezione delle proprie prestazioni, e standard elevati per gli altri
- Frost Multidimensional Perfectionism Scale (FMPS): valuta sei dimensioni del perfezionismo tra cui le preoccupazioni per gli errori, i dubbi sulle azioni, rapporti personali, l’imposizione di standard elevati, l’organizzazione, e l’orientamento parentale
- Hewitt & Flett Multidimensional Perfectionism Scale (HMPS): classifica il perfezionismo in tre categorie, autodiretto, diretto da altri e socialmente prescritto. Questa distinzione permette di differenziare il modo in cui le aspettative perfezionistiche sono dirette e percepite.
Cosa si nasconde dietro al perfezionismo?
La letteratura concorda nel dire che il perfezionismo ha origine da una combinazione di fattori ereditari e ambientali.
Da un lato, infatti, alcune persone più di altre tendono, per carattere, a porsi obiettivi personali elevati e a mostrare una minore tolleranza di fronte alla possibilità di sbagliare o non riuscire, ma le cause principali sembrano essere l’ambiente e il contesto sociale.
Proviamo a pensare agli anni della scuola. Siamo stati abituati da genitori e insegnanti, alcuni più di altri, a ricevere elogi per il raggiungimento di successi scolastici o personali. E viceversa, è capitato a tutti di essere stati puniti o rimproverati dopo aver commesso un errore o per non essersi abbastanza impegnati sul lavoro o a scuola.
Ma quando le critiche, i rimproveri o le spinte a fare meglio diventano frequenti, intense e prolungate nel tempo, è possibile che vengano rinforzati comportamenti perfezionistici in chi le riceve.
La persona criticata o punita potrebbe iniziare a credere che sia fondamentale per poter essere apprezzata, amata o riconosciuta, non sbagliare mai. Gli errori inizieranno a essere vissuti con profondo senso di paura del rimprovero o con emozioni di vergogna e colpa.
Diventa pian piano fondamentale riuscire a mantenere una buona immagine di sé ai propri occhi e a quelli degli altri. Si radica la convinzione che saremo bravi, degni, amabili nella misura in cui riusciremo nelle nostre prestazioni e otterremo buoni risultati.
Crescere con genitori a loro volta perfezionisti è un fattore che sembra influenzare la tendenza al perfezionismo patologico cronico: l’osservazione di coloro che abbiamo vicino può spingerci a comportarci in modo conforme.
Perfezionismo e altri disturbi psicopatologici
Il perfezionismo può essere anche una delle manifestazioni di altri disturbi psicopatologici. Il DSM-5, ad esempio, lo inserisce come caratteristica dominante del disturbo ossessivo-compulsivo di personalità.
Anche nel narcisismo sono presenti tratti perfezionistici, nella misura in cui si vuole ottenere l’ammirazione degli altri mostrandosi impeccabili.
Inoltre, nel perfezionismo, la preoccupazione del giudizio altrui è una componente chiave e questa caratteristica è presente anche nel disturbo d’ansia sociale in cui domina la paura di non essere all’altezza rispetto alle aspettative degli altri.
Infine, si possono trovare tratti di perfezionismo patologico anche tra chi soffre di depressione o di disturbi del comportamento alimentare come l’anoressia.
Come evitare che il perfezionismo diventi un’ossessione?
Innanzitutto, bisogna domandarsi se gli obiettivi che ci si pone siano ragionevoli e realistici.
Il criterio è soggettivo: potremmo non raggiungere mai quella perfezione che desideriamo. Il segreto sta nella flessibilità: voler raggiungere buoni risultati, dedicare tempo ed energie a ciò che per noi è importante, ma non essere impeccabili.
La serenità e la riuscita, come spesso accade, si trovano a metà strada.
Se ci si rende conto che la propria spinta perfezionistica sta diventando un’ossessione patologica, ci si può affidare ad uno specialista e intraprendere un percorso psicoterapeutico finalizzato a identificare le possibili cause dei propri comportamenti.
Individuare il problema, infatti, è il primo passo per poterlo trattare con specifiche tecniche psicoterapeutiche. Generalmente, l’approccio più utilizzato per trattare questa condizione e guarire da essa, è la terapia cognitivo-comportamentale, che aiuta a identificare i modelli mentali e comportamentali personali.
(13 Giugno 2024)