Quello di feticismo è un concetto che ha suscitato e continua a suscitare grande interesse, nonché scalpore e pregiudizio.
Dopo essere stato per lungo tempo considerato un fenomeno di carattere antropologico e religioso legato al culto di oggetti inanimati, si è radicato dalla fine del XIX secolo per il suo significato in ambito psicosessuale. Si è così imposto nell’immaginario collettivo come una pratica deviante considerata alla stregua di una perversione sessuale.
Ma è davvero così? Il feticismo implica necessariamente un atteggiamento patologico o può essere considerato come una preferenza sessuale al pari di altre? Scopriamone di più, approfondendo l’interpretazione che ne è stata data in psicologia e le modalità con cui può manifestarsi.
Qual è il significato di feticismo?
Il termine feticismo deriva dalla parola portoghese feitiço (a sua volta derivato del latino facticius), ‘artificiale’, con cui mercanti e marinai portoghesi erano soliti indicare gli oggetti inanimati – i feticci, appunto – che, nelle culture indigene africane, erano considerati incarnazione di qualità soprannaturali e venivano pertanto venerati.
L’espressione, a lungo rimasta ancorata all’ambito antropologico-religioso, è passata ad assumere una connotazione psicologica-sessuologica con il contributo dello psicologo francese Alfred Binet. La sua opera Il feticismo in amore, pubblicata nel 1887, ha introdotto infatti il concetto di feticismo nella sua accezione moderna: un’attrazione sessuale per un oggetto specifico o per una parte del corpo di un’altra persona. Una lettura, questa, portata avanti da Richard von Krafft-Ebing prima e da Sigmund Freud poi, e ancora oggi prevalente.
Cosa significa avere un feticismo?
Il feticismo, nel contesto attuale, si riferisce a una forma di desiderio sessuale in cui il piacere e l’eccitazione sono legati a un oggetto, un dettaglio del corpo umano o a una specifica attività o situazione che viene elevata a simbolo di appagamento erotico.
Il feticismo identifica dunque l’attrazione sessuale per qualcosa (oggetti, parti del corpo, attività particolari) che non ha una connotazione sessuale intrinseca e differisce dai canoni della sessualità tradizionale, incentrata sulla stimolazione genitale. Per questa ragione, è considerato una manifestazione di parafilia, un concetto utilizzato per definire atteggiamenti sessuali atipici.
Ma cosa vuol dire essere un feticista? Da cosa deriva questo comportamento e come si esplicita?
Feticismo: quali sono le sue cause?
Secondo Freud, il feticismo emergerebbe come meccanismo di difesa messo in atto dal bambino durante la fase edipica dello sviluppo psicosessuale per gestire l’angoscia che nasce dalla paura della castrazione. Quando il piccolo scopre l’assenza del fallo nella madre, assume che questo sia stato rimosso come punizione. Teme allora che anche lui possa essere castrato dal padre per il suo desiderio incestuoso verso la figura materna.
Il feticcio diventa così un sostituto simbolico per il fallo mancante nella madre, che permette di colmare una mancanza, un diniego. In una certa misura, questo processo ha una valenza evolutiva perché permette al bambino di superare il complesso di Edipo e di completare la maturazione sessuale.
Quando, tuttavia, il feticismo si protrae oltre questa fase e si radica, si trasforma in un atteggiamento dissociativo che nega la realtà ricorrendo a un surrogato (il feticcio). Eppure, così facendo conferma quella stessa realtà: non ci sarebbe alcun feticcio, infatti, se non ci fosse il bisogno di riempire un vuoto. Un paradosso che rivela, afferma Freud, una scissione dell’io.
Le teorie psicoanalitiche sviluppatesi in seguito hanno ampliato questa visione, considerando il feticismo come una risposta non solo al complesso di castrazione ma anche all’ansia della separazione e della perdita dell’amore materno. Secondo lo psicoanalista britannico Donald Winnicott, in particolare, il feticcio va inteso come un oggetto transizionale, cioè un oggetto fisico utilizzato come “sostituto” della figura materna, connotato però sessualmente.
Cosa piace ad un feticista?
In genere, si identificano tre diverse modalità con cui si esprime il feticismo:
- attiva, nella quale il feticista utilizza direttamente il feticcio
- passiva, per cui una persona desidera che il feticcio venga impiegato su di lei da qualcun altro
- contemplativa, in cui l’appagamento sessuale deriva dall’osservazione dei feticci che sono stati accumulati.
Anche l’oggetto del desiderio, il feticcio, può avere diverse forme. Ecco alcuni dei feticismi più diffusi:
- piedi: le persone con questo interesse possono essere affascinate da vari aspetti, come la forma, l’odore o pratiche specifiche che coinvolgono i piedi
- capelli: il desiderio si focalizza sui capelli: lunghi, corti, lisci, ricci, di un dato colore o acconciati in modo particolare. La manipolazione o la sola vista dei capelli può evocare eccitazione
- biancheria: l’attrazione sessuale è veicolata dal vedere indossati o dal toccare indumenti intimi
- scarpe: il piacere sessuale può derivare dall’interazione diretta con alcune tipologie di scarpe (per eccellenza quelle con il tacco) o dalla visione di qualcuno che le indossi
- indumenti in latex, cuoio o pizzo, considerati affascinanti per il loro aspetto o per la sensazione tattile che restituiscono
- uniformi, per esempio quelle associate a specifiche professioni
- sex toys: l’eccitazione erotica è correlata all’utilizzo di giocattoli sessuali
- sitofilia, una tipologia di feticismo legato al cibo che può includere pratiche come quella di utilizzare alimenti come oggetto sessuale o di cibarsi dal corpo di un’altra persona
- BDSM: sebbene non sia un feticismo nel senso stretto, pratiche e oggetti impiegati all’interno delle pratiche BDSM (acronimo che sta per Bondage e disciplina, Dominazione e sottomissione, Sadismo e masochismo) sono frequentemente oggetto di desiderio feticistico. In questo caso, le dinamiche di potere e oggetti come fruste, catene o abiti specifici, giocano un ruolo centrale nella stimolazione erotica.
Quando il feticismo è patologico?
Per la psicologia contemporanea il feticismo – come le restanti parafilie – non è di per sé un comportamento disfunzionale, un disturbo parafilico. Fintanto che non compromette il benessere individuale o quello altrui ed è integrato in maniera consenziente nelle relazioni intime, può essere interpretato come parte dello spettro delle preferenze sessuali umane.
Quando invece diventa patologico?
Il feticismo assume caratteristiche patologiche quando l’oggetto feticcio diviene l’unico catalizzatore di soddisfazione erotica, andando a sostituirsi completamente all’attività sessuale convenzionale. Questo fenomeno si verifica quando l’individuo non riesce più a trovare piacere o eccitazione sessuale al di fuori del rito feticistico o dell’oggetto specifico al centro del suo desiderio.
In questi casi, il feticismo diventa un meccanismo che interviene in maniera intrusiva sull’espressione della sessualità della persona e può arrivare ad avere ripercussioni non solo sulla vita affettivo-sessuale ma anche su quella sociale o lavorativa. L’attrazione nei confronti del feticcio diventa compulsione.
L’esclusività del desiderio verso il feticcio associata a disagio o disfunzionalità dunque, segna il confine tra una manifestazione non patologica del feticismo e un disturbo feticista, una condizione che necessita di attenzione clinica per le sue ricadute sulla vita dell’individuo.
La psicoterapia, in particolare l’approccio cognitivo-comportamentale, può essere d’aiuto per accompagnare il soggetto con disturbo feticista nella gestione degli impulsi e delle compulsioni sessuali. A seconda della gravità del disturbo, può essere associata a una terapia farmacologica, come la somministrazione di antiandrogeni.
(19 Giugno 2024)