Alessitimia

L’alessitimia determina una ridotta capacità di riconoscere le emozioni proprie e quelle delle altre persone. Un intervento professionale può aiutare a trattare questa condizione, per restituire una vita più ricca e condivisa.

Alessitimia

Avere un deficit nel riconoscere ed elaborare in modo consapevole le proprie emozioni e quelle altrui: questa è l’alessitimia.

Una condizione non patologica, di per sé, ma capace di esporre la persona a possibili disturbi di tipo psicofisico.

A descriverne le caratteristiche, le possibili cause e gli eventuali interventi, la dott.ssa Eva Lucchesi Tagliabue, psicologa e psicoterapeuta del Santagostino.

Che cos’è l’alessitimia?

L’alessitimia è la ridotta capacità di riconoscere ed elaborare coscientemente le proprie emozioni. È anche definita come analfabetismo emotivo.

Si differenzia dell’anaffettività in quanto la persona anaffettiva è incapace di provare emozioni, mentre l’alessitimico non riconosce e non sa descrivere i propri stati emotivi né le emozioni altrui.

L’alessitimia per la psicologia non è di per sé una patologia, infatti non è presente nel DSM-5, ma rappresenta un modo di essere che può essere connesso a un ampio spettro di disturbi sia fisici sia psichici.

La conoscenza del proprio mondo emotivo, dei sentimenti e delle emozioni, così come la capacità empatica ha infatti notevoli ripercussioni nel processo psicofisico di sviluppo dell’individuo. Le emozioni rappresentano un elemento psicosomatico o somatopsichico fondamentale nell’elaborazione e nella conoscenza del Sé, in rapporto agli altri e al contesto sociale.

Alessitimia: significato

Questa parola viene dal greco e si compone del prefisso a-, che indica ‘mancanza’, lexis, che significa ‘parola’, e thymos, ‘emozione’.

Allorigine dellalessitimia

Per comprendere le cause dell’alessitimia è importante innanzitutto chiarire i meccanismi a capo della regolazione emotiva.

Molti teorici contemporanei, tra i quali il gruppo di Toronto, composto da Graeme Taylor, James D.A. Parker e R. Michael Bagby, convergono sul fatto che la risposta emotiva coinvolge tre sistemi connessi:

  • neurofisiologico, tramite le attivazioni neuroendocrine del sistema nervoso autonomo
  • motorio e comportamentale, che si manifesta con i cambiamenti del tono di voce, le espressioni facciali e le posture
  • cognitivo-esperienziale, attraverso la consapevolezza soggettiva, il racconto e la spiegazione verbale dei propri stati emotivi e affettivi.

Il processo di regolazione affettiva si fonda sulla possibilità di integrare questi tre sistemi, sia tra di loro che con l’ambiente. Le emozioni di base sono presenti fin dalla nascita, ma il loro aspetto soggettivo-esperienziale e la loro organizzazione più complessa si sviluppano durante la prima infanzia, in rapporto alla qualità della relazione tra madre e bambino o caregiver e bambino.

Sulla base di questo modello, Taylor e il suo gruppo di ricercatori definiscono l’alessitimia come un disturbo della regolazione affettiva e in particolare come un deficit nel dominio cognitivo-esperienziale dei sistemi di risposta emotiva e della regolazione interpersonale delle emozioni.

L’alessitimia è la mancanza di collegamento tra il livello cognitivo-esperienziale e quelli neurofisiologico e motorio-comportamentale. Il soggetto alessitimico non è in grado di identificare le proprie emozioni né di differenziare gli stati fisiologici e motori comportamentali di attivazione, che rimarrebbero quindi privi, a livello individuale di regolazione, sia nella componente cognitiva e verbale che relazionale e interpersonale.

Perché si diventa alessitimici?

Ad oggi, alcune ricerche e studi anche neurobiologici sembrano confermare l’esistenza di due forme del disturbo:

  • alessitimia di tipo I, caratterizzata dall’assenza stessa di esperienza emotiva
  • alessitimia di tipo II, che consiste in un deficit selettivo dell’espressione e della valutazione cognitiva delle emozioni derivati da eventi traumatici o dall’inadeguatezza dello sviluppo delle funzioni di mentalizzazione, ossia la capacità di riconoscere e modulare i propri stati emotivi.

Altre ricerche evidenziano gravi difficoltà nel rapporto con le figure di riferimento durante i primi anni di vita, periodo centrale dello sviluppo psicoaffettivo di ogni persona. L’alessitimia nascerebbe in risposta a un contesto familiare in cui non è presente una relazione affettiva adeguata che permetta al bambino di sviluppare la mentalizzazione.

È stato dimostrato che nel neonato non si sviluppa, o si sviluppa solo parzialmente, la capacità di regolazione fisiologica dell’organismo ed emozionale.

Alcuni autori hanno poi ipotizzato che gli individui che hanno difficoltà a percepire, identificare e differenziare i propri stati emotivi tendono ad attuare comportamenti maladattivi e disfunzionali, nel tentativo di regolare le emozioni, altrimenti vissute come intollerabili e non gestibili.

Come si comporta una persona alessitimica?

Quando si parla di soggetti alessitimici, si intendono persone con “alti livelli di alessitimia o bassi livelli di alessitimia” e ciò determina il grado di sofferenza o patologia della persona. L’individuo alessitimico manifesta disturbi nella sfera cognitiva con difficoltà a:

  • identificare e distinguere sentimenti ed emozioni e questi da sensazioni derivanti da alterazioni somatiche non emozionali
  • comunicare agli altri le proprie emozioni
  • comprendere o sentire gli stati emotivi e i sentimenti altrui
  • mettere in atto processi immaginativi e onirici che sono pochi, coartati, inibiti e poveri di fantasia.

Il soggetto alessitimico dimostra inoltre:

  • scarsa o assenza di empatia
  • difficoltà nell’introspezione
  • preminenza di uno stile cognitivo orientato solo verso l’esterno, detto anche pensiero operatorio.

Il dialogo tende a essere privo di intensità emotiva, in quanto mancano i riferimenti a vissuti interiori, a desideri, a paure o sentimenti. Le persone alessitimiche tendono a descrivere gli eventi con dovizia di particolari, ma la comunicazione risulta piatta, carente di immaginazione. Riproducono fedelmente la realtà ma, quando presentano un alto livello di alessitimia, sembrano essere più testimoni che i protagonisti dell’esperienza narrata.

Ulteriori disturbi legati alla alessitimia

Oltre ai disturbi nella sfera cognitiva, i soggetti alessitimici presentano disturbi:

  • della sfera affettiva: hanno difficoltà nel riconoscere e esprimere le proprie emozioni e nel discriminare tra stati emotivi e sensazioni corporee
  • nell’interazione con l’ambiente: mostrano una marcata dipendenza o preferenza per la solitudine e l’evitamento delle persone. Inoltre, percepiscono gli altri come simili a sé (duplicazione proiettiva), secondo un modello stereotipato e privo di tratti personali. Nei casi più gravi, sembrano vivere un’esistenza da automi, come se seguissero un manuale di istruzioni
  • dell’espressione corporea: manifestano rigidità posturale e mancanza di espressioni del volto, segno di un ridotto funzionamento emotivo e di una limitata vita intrapsichica.

Come capire se si soffre di alessitimia?

Normalmente il soggetto alessitimico non è consapevole di soffrire di un disturbo della regolazione affettiva, poiché può manifestare una serie di disturbi psicosomatici molto diversificati tra di loro:

Saranno il medico o lo specialista a indagare la possibile presenza di un funzionamento mentale di tipo alessitimico.

Attualmente gli strumenti disponibili per studiare e valutare il livello di alessitimia presente in una persona sono:

  • le scale autosomministrate come la Toronto Alexhitymia Scale (TAS-20), lo strumento più utilizzato per l’assessment dell’alessitimia e la Bermond – Vorst Alexithymia Scale (BVAQ)
  • i questionari eterovalutati come il Modified Beth Israle Hospital Psychosomatic Questionnaire (M-BIQ) e la Observer Alexithymia Scale (OAS)
  • le interviste strutturate come la Diagnostic Criteria for Psychosomatic Research (DCPR) e la Toronto Structured Interview for Alexithymia (TSIA – 24)
  • la Scala Rorschach o Rorschach Alexithymia Scale (RAS). Derivata dal Rorschach, somministrato e siglato secondo i criteri del Comprenhensive System (CS).

Come si cura l’alessitimia?

Spesso una persona con alessitimia non si rende conto di avere un problema, almeno fino a quando non subentrano disagi o difficoltà molto invalidanti e che interferiscono con la sua quotidianità.

Le terapie psicologiche più utilizzate si basano sull’educazione emotiva e sullo sviluppo dell’intelligenza emotiva, che comprende l’esercizio dell’empatia, della fantasia e la cura delle relazioni.

Le psicoterapie che possono essere più funzionali al trattamento dell’alessitimia sono la MBT (Trattamento basato sulla mentalizzazione) e la psicoterapia cognitivo-comportamentale.

La MBT è una psicoterapia che integra aspetti psicodinamici, cognitivo-comportamentali, sistemici ed ecologici. I suoi obiettivi presuppongono l’acquisizione di:

  • miglior controllo comportamentale
  • aumento della regolazione affettiva
  • rafforzamento di relazioni con forte carica empatica e conseguente gratificazione
  • sviluppo della capacità di perseguire obiettivi.

Tutto ciò può essere raggiunto attraverso l’incremento della capacità di mentalizzare, che determina la stabilizzazione del senso del Sé e conseguente riconoscimento e consolidamento delle emozioni e delle relazioni.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale, focalizzata sul problema e orientata all’azione, si concentra sul cambiamento delle distorsioni cognitive come pensieri, convinzioni e atteggiamenti e sui comportamenti ad esse associati, per migliorare la regolazione emotiva e sviluppare adeguate strategie di coping.