La noia è un’emozione che nella maggior parte dei casi rifuggiamo, eppure ha importanti potenzialità che dovremmo imparare a sfruttare.
La noia può essere infatti una risorsa preziosa per favorire il benessere e per stimolare la creatività. Ma non sempre: solo quando focalizziamo l’attenzione dentro di noi, invece che cercare “distrazioni” all’esterno.
Nel mondo di oggi abbiamo a disposizione una tale varietà di stimoli, tutti facilmente accessibili, che raramente ci annoiamo. La diffusione degli smartphone, in particolare, e la ricezione di continui messaggi e notifiche ci hanno abituati ad avere sempre meno “tempi morti”. Il risultato è che siamo sempre meno attrezzati a tollerare la noia e sempre più portati a evitarla attivamente. È un bene? Non proprio. La maggior parte di noi considera la noia un’esperienza negativa, ma alcune recenti ricerche scientifiche hanno mostrato che può avere anche effetti positivi.
Che cos’è e come nasce la noia?
La noia viene descritta come uno stato emotivo caratterizzato da un desiderio non appagato di fare o provare qualcosa di soddisfacente. Una condizione di “mente non impegnata” che si verifica quando:
- non siamo in grado di focalizzare in modo efficace la nostra attenzione verso stimoli interni o esterni
- la nostra attenzione si concentra sul fatto che non siamo in grado di impegnare la nostra mente in un’attività soddisfacente
- attribuiamo la causa del nostro stato negativo a fattori esterni.
Sintomi e conseguenze della noia
La mancanza di attività mentale o pratica che caratterizza la noia tende a tradursi in una serie di stati d’animo negativi, come:
- insofferenza
- senso di agitazione
- apatia
- difficoltà di concentrazione
- disinteresse
- senso di vuoto interiore
- letargia.
La tendenza a sviluppare sentimenti persistenti di noia e insoddisfazione, secondo diversi studi, sembrerebbe associarsi a una maggiore possibilità di incorrere in disturbi psicologici e comportamentali, quali:
- stati depressivi
- ansia
- abuso di sostanze stupefacenti e alcol
- binge eating
- abbandono degli studi
- assenteismo sul luogo di lavoro
- ludopatia.
Perché la noia fa venire sonno?
Tra le sensazioni che capita di sperimentare quando ci si annoia c’è anche la sonnolenza. Come mai? Una spiegazione è stata fornita da una ricerca dell’università giapponese di Tsukuba, che ha individuato l’origine di questo fenomeno nel nucleo accumbens, un’area del nostro cervello legata ai circuiti del piacere e della motivazione. Quando questa zona non riceve stimoli sufficienti, risponde inducendo il sonno.
Il meccanismo che scatena il sonno sembra mediato da uno specifico neurotrasmettitore: l’adenosina. Secondo quanto osservato dai ricercatori, infatti, la presenza di questa molecola porterebbe il nucleo accumbens ad attivarsi trasmettendo il segnale del sonno.
La noia come sentimento positivo
Eppure, la noia può trasformarsi in un potente motore per l’ispirazione, riflessione contribuendo allo sviluppo personale e all’espansione della nostra creatività. Come testimoniano le civiltà più antiche e orientali.
Noia e ozio
Nelle filosofie orientali, in un momento di vuoto l’individuo è libero di annoiarsi, di oziare e di meditare, concentrandosi sul proprio respiro senza pensare ad altro. Quando si medita non si pianifica, non ci si rilassa, non si cercano particolari stati di coscienza; non si fa nulla, si lascia fluire il tempo attraverso il respiro. Ed ecco che, silenziando per qualche momento il continuo chiacchiericcio della mente, un nuovo entusiasmante scopo può emergere spontaneamente da dentro di noi.
Anche in Occidente, in passato, era presente un senso positivo dell’ozio. In senso latino l’otium era l’opposto degli affari pubblici, il tempo da dedicare alla meditazione, allo studio, alla cura della mente e dello spirito, e in molte religioni compare l’indicazione di un “tempo santo”, da dedicare alla preghiera e all’inattività. Per esempio nella tradizione ebraica, oltre al giorno settimanale di astinenza dal lavoro (il sabato) è previsto un anno sabbatico, ovvero un intero anno nel quale, secondo le leggi Mosaiche, si lasciava riposare la terra e si condonavano i debiti.
Oggi l’anno sabbatico è un anno di congedo retribuito cui i docenti universitari hanno diritto per dedicarsi alla ricerca scientifica e all’aggiornamento: una delle ultime testimonianze, nella società odierna, della convinzione che un periodo di libertà dagli obblighi lavorativi potesse produrre un accrescimento della qualità del pensiero.
Noia e creatività
Secondo alcune teorie, la noia sarebbe un requisito fondamentale per la creatività. Nei momenti di noia, infatti, il nostro cervello ha spazio a sufficienza per perdersi in divagazioni e sogni a occhi aperti che, come Daniel Goleman e altri scienziati hanno dimostrato, hanno un ruolo cardine nei processi cognitivi.
In uno studio svolto dalla University of Central Lancashire un gruppo di persone è stato invitato a elencare tutti gli usi possibili di una tazza di plastica. È risultato che le persone che avevano svolto in precedenza un compito ripetitivo per un quarto d’ora avevano ideato un maggior numero di risposte e di maggiore creatività. Ripetendo l’esperimento con compiti ripetitivi differenziati, i ricercatori hanno dimostrato che non solo lo stato di noia facilita l’entusiasmo e l’attenzione verso gli stimoli che vengono a interromperlo, favorendo la creatività, ma anche che quanto più lo stato di noia è intenso, tanto più la creatività ne trarrà guadagno.
Non sorprende a questo punto che alcuni grandi scrittori abbiano bisogno di passare un periodo di noia per trovare l’ispirazione, per superare il cosiddetto “blocco dello scrittore” o “sindrome da pagina bianca”. Lo psicologo Jonathan Schooler dell’Università della California ha dimostrato che i momenti in cui ci si rilassa e si lascia “vagare la mente” permettono al nostro inconscio di lavorare meglio (come avviene quando si sogna), facilitando le intuizioni creative. Questo perché il cervello si libera di assunti ingiustificati e stabilisce connessioni inedite tra concetti o competenze già esistenti. Ricerche come questa fanno pensare che i momenti di noia, lungi dall’essere dannosi, costituiscono una specie di sosta durante la quale il cervello ricarica la propria benzina.
Come si fa combattere la noia?
Come ha dimostrato uno studio svolto presso l’Università di York, a Toronto, si potrebbe dire che c’è un tipo di noia “cattiva”, che genera malessere e irrequietezza, e un tipo di noia “buona”, che incentiva la creatività e la qualità dei ragionamenti. La prima si verifica quando si cerca la soluzione all’esterno (per esempio negli smartphone), con il risultato, sul lungo periodo, di diminuire il senso di autoefficacia e la fiducia nelle proprie competenze.
Se tendiamo a cercare soddisfazione all’esterno, e non dentro di noi, è probabile che non appena gli stimoli cessino di essere interessanti si ripresenti, e si rafforzi, la noia.
Conseguenze diverse, per non dire opposte, si hanno quando, per affrontare la noia, rivolgiamo l’attenzione dentro di noi, connettendoci con i nostri pensieri e le nostre emozioni. È quello stato d’animo che viene anche definito “sognare a occhi aperti”. Stato d’animo che spesso viene visto negativamente, come una propensione a perdere tempo e magari a fare errori, ma che in realtà, come ha dimostrato uno studio di Kelsey Merlo, psicologa americana del Georgia Institute of Technology, nella maggior parte dei casi dà la sensazione di “rinfrescare la mente”, migliorando lo stato emotivo e le performance lavorative.
Il modo più efficace per combattere la noia sembrerebbe dunque quello di accoglierla e trasformarla in “energia” positiva. Prendersi del tempo per meditare su sé stessi e sulle proprie esperienze può aiutare a raggiungere una visione più profonda e consapevole di sé e della realtà che si vive. Può stimolare la conoscenza e la crescita personale, profilando nuove opportunità o cambiamenti nel proprio modo di vivere.
Perché non sappiamo annoiarci?
Ma perché per molti è così difficile tollerare la noia? Perché – come abbiamo visto – la noia porta a un incontro con sé stessi, cosa non sempre facile. Quando il cervello non deve affrontare stimoli e compiti specifici, la sua attività elettrica si concentra nelle zone deputate alla coscienza di sé e all’elaborazione della propria storia personale. È un flusso di coscienza autoriferita, chiamata dai ricercatori “modalità di default”. Non fare niente obbliga il nostro sistema mentale a pensare a sé stesso e a compiere libere associazioni.
È per questo che è così difficile stare in quella situazione, da soli e senza fare niente: perché è in quel momento che siamo più vicini anche al nostro inconscio, alla nostra “follia”. Del resto è proprio la capacità di avere coscienza di noi stessi a distinguerci dalle altre specie. Una capacità che può generare ansia, specie per chi vi è già predisposto.
In conclusione, siamo stimolati continuamente, ma siamo bombardati da stimoli a “bassa intensità” (notifiche, gossip), che richiedono poco più di una manciata di secondi per essere processati per poi svanire nel nulla. Sembriamo perdere progressivamente la capacità di non far nulla, o semplicemente tollerare la noia. Questo lascia poco spazio per la riflessione, l’approfondimento, o il semplice lasciar divagare la mente. Non vale la pena di provare a lasciare lo smartphone in tasca?
(28 Maggio 2024)