Il sadismo è un disturbo della personalità caratterizzato dall’impulso di provare piacere attraverso l’inflizione di dolore fisico o morale ad altre persone.
Il termine deriva dal nome del Marchese de Sade, un aristocratico francese vissuto tra il XVIII e XIX secolo, famoso per la sua produzione letteraria che consisteva in gran parte di opere a contenuto erotico ed estremamente violento.
Il sadismo può manifestarsi attraverso una serie di atti, che vanno dalla manipolazione psicologica alla violenza fisica, e si associa spesso a una mancanza di empatia e al disprezzo per i diritti e il benessere altrui.
Insieme alla dottoressa Bencivenga, psicologa e psicoterapeuta del Santagostino, vediamo cos’è il sadismo, quali sono le cause che ne stanno alla base, e a quali interventi è possibile ricorrere per gestirlo.
Che cos’è il sadismo? Definizione e significato
Il sadismo può essere definito come un tratto di personalità che si contraddistingue per il bisogno disfunzionale e perverso di affermare sé stessi, e confermare la propria identità nella relazione psicologica e/o fisica con l’altro, imponendosi in una posizione asimmetrica di potere e controllo. Nei casi patologici, può essere considerato un disturbo mentale, e rientra nell’ambito delle parafilie riconosciute dal DSM.
Complementare e opposto al masochismo, che consiste nella ricerca del piacere attraverso il dolore, il sadismo si caratterizza per il trarre piacere nell’infliggere punizione e sofferenza all’altro su diversi livelli.
Gli atteggiamenti sadici possono includere diverse pratiche volte a manipolare la libertà e i confini psicofisici della vittima. Tuttavia, si caratterizzano sempre per la mancanza di empatia e la difficoltà nel considerare l’altro come un individuo con diritti e dignità umana.
Esistono diverse forme di sadismo?
Il sadismo, in senso psicologico, e non solo psicopatologico, può esprimersi in forme diverse che vanno interpretate lungo un continuum disfunzionale rispetto all’espressione della condotta sadica. Queste forme includono:
- il sadismo non sessuale, per cui per cui il piacere nasce dal maltrattamento psicologico o dall’assistere alle sconfitte altrui
- il sadismo sessuale caratterizzato dal bisogno di veder soffrire il proprio partner durante l’atto sessuale. Generalmente sono le donne a ricoprire il ruolo di vittima
- il sadismo nevrotico per cui gli atti di violenza fungono da scarica alle angosce o alle fobie
- il sadismo criminale, tipico di coloro che torturano le vittime fino alla morte. In questo caso la spinta sessuale non è né l’unica né la principale.
Quasi tutte le tipologie di sadismo danno origine a una forma di eccitazione sessuale che il soggetto manifesta nei confronti della vittima. Tuttavia non tutte le forme di sadismo si esprimono attraverso atti sessuali: il sadico non-sessuale trae piacere dalla sofferenza e dal disagio che crea agli altri solitamente in ambito sociale o di lavoro. Più spesso manifesta un comportamento aggressivo con subordinati o con persone che ritiene inferiori a lui.
Come nasce il sadismo? Cause e fattori di rischio
Il sadismo psicopatologico non sembra avere ancora una relazione causa-effetto scientificamente approvata sia per la significatività statistica del disturbo che per le stesse caratteristiche cliniche. Queste ultime si esprimono spesso in comorbidità con altri processi psichici disfunzionali come il disturbo antisociale di personalità e il narcisismo maligno.
Tuttavia, come per altri funzionamenti perversi, alla base psicodinamica del sadismo esiste una forte correlazione a un trauma infantile di tipo abusivo sul piano fisico e psicologico che cristallizza paura e odio per l’altro e per la responsabilità.
Il sadico ha una struttura psichica profondamente insicura e vulnerabile e tenta di tenere sotto controllo l’angoscia del proprio bisogno di dipendenza e inferiorità proiettandolo all’esterno di sé per dominarlo. Molteplici sono quindi i fattori di rischio che predispongono alla comparsa di atteggiamenti sadici, primi tra questi:
- un legame di attaccamento disturbato con le figure primarie
- una crescita ipostimolante sul piano dell’alfabetizzazione emotiva e affettiva
- l’aderenza a modelli di riferimento violenti e/o scarsamente empatici
- esperienze primitive di abuso e violenza
- esperienze affettive e relazionali antisociali e devianti.
Che cosa vuol dire essere sadico?
Il sadismo nella letteratura scientifica di riferimento tende a connotarsi come un disturbo prevalentemente maschile, il cui esordio sembra caratterizzare il giovane adulto (18-20 anni). La diagnosi clinica prevede la compresenza di fantasie sessuali basate sulla sofferenza fisica o psicologica di un altro individuo per almeno sei mesi, che causano gravi disagi alla vita sociale, affettiva e lavorativa dell’individuo.
Le tendenze sadiche di natura più o meno patologica, in senso espressivo, influenzano notevolmente molteplici aspetti della vita e soprattutto delle relazioni con l’altro.
Concretamente i processi psichici alla base del sadismo possono manifestarsi in una propensione ad attuare comportamenti mortificanti e che inducono sofferenza o dolore fisico e/o psicologico al fine di ottenere soddisfazione su diversi piani.
Il sadico è colui che sente indispensabile alla propria sopravvivenza il controllo/potere sull’altro. Non solo questo potere e controllo costituiscono un elemento protettivo per la sua esperienza di relazione, ma soprattutto il sadico si pone come “giudice supremo” rispetto all’altro e sente le sue compulsioni come necessarie a riequilibrare la sua concezione di giustizia e punire coloro secondo una pena soggettivamente giusta.
Quali sono le conseguenze a lungo termine del sadismo?
Il sadico ha diverse possibilità di integrare le proprie fantasie, i propri bisogni e i propri desideri all’interno di una dinamica relazionale reciproca e consenziente o in una relazione di subordinazione esplicita che potrebbe non esprimersi in comportamenti dannosi o criminali. Numerosi contributi scientifici dimostrano, infatti, quanto una percentuale di sadismo si riscontri non solo in persone con comportamenti limite o clinici, configurandosi piuttosto come elemento centrale nella psicopatologia quotidiana.
Il sadismo quindi si esprime anche in persone che incontriamo nella vita di tutti i giorni e che non necessariamente sono soggette ad allontanamento dalla società né a una limitazione nel proprio funzionamento individuale tale da consentirne il riconoscimento immediato.
Come può essere trattato il sadismo?
Gli approcci terapeutici che intervengono sul sadismo sono molteplici e lavorano su diversi livelli intrapsichici e interpersonali. Di fatto l’azione terapeutica mira a interrompere la dinamica emotiva dolore/piacere, disinnescando i processi psichici necessari al paziente per controllare l’angoscia che sottende il bisogno sadico.
L’approccio psicodinamico e la terapia cognitiva comportamentale sembrano essere particolarmente efficaci nel lavoro con i tratti di personalità sadica. Tuttavia la terapia sistemico relazionale, per sua stessa natura, individua delle con-cause complesse all’interno del disturbo psichico che sembrano ingaggiare il paziente al trattamento con minore rischio di drop-out. Interventi farmacologici sembrano essere talvolta necessari nel porre maggiore confine al rischio compulsivo nelle casistiche clinicamente più gravi.
In che modo la psicoterapia può modificare i comportamenti sadici?
La psicoterapia contribuisce in modo significativo al trattamento e alla cura del comportamento sadico, sostenendo un processo di graduale consapevolezza nel paziente rispetto alla propria capacità di autorealizzazione.
Il trattamento appare molto complesso per la motivazione e la resistenza del sadico all’affidarsi a una relazione in cui è necessaria reciprocità. Tuttavia lo spazio e il tempo terapeutico rappresentano un modello indispensabile in cui il paziente può sperimentare “allenamento” a una relazione funzionale e apprendere l’alfabetizzazione emotivo-affettiva necessaria al cambiamento.
Va sottolineato che se è presente doppia diagnosi con altri disturbi di personalità, i trattamenti possono risultare meno efficaci, poiché il disturbo antisociale comporta una marcata mancanza di empatia e difficoltà a rispondere positivamente alla terapia.
In questi casi, la gestione dei comportamenti pericolosi o criminali potrebbe richiedere una supervisione legale o una custodia cautelare.
(6 Marzo 2024)