Essere lasciati è una delle esperienze più dolorose e destabilizzanti, in grado di minare la nostra sicurezza emotiva.
Si tratta di una situazione che prima o poi tutti si trovano ad affrontare e con cui è difficile fare i conti a qualsiasi età. Sia da giovani che da adulti, il dolore per la separazione da un partner, ma anche da un amico, è sempre difficile da gestire.
Insieme alla dottoressa Bajoni, psicologa e psicoterapeuta, coordinatrice del Servizio specialistico di psicologia e psicoterapia per adolescenti del Santagostino, vediamo cosa comporta l’essere lasciati, con un focus particolare sull’adolescenza. Analizzando gli esiti delle rotture sentimentali in questa fase delicata della vita, infatti, ci aiuterà a comprendere meglio le dinamiche psicologiche che caratterizzano, in generale, l’esperienza della perdita e della separazione.
Cosa comporta essere lasciati?
Essere lasciati è un’esperienza che va al di là della semplice fine di una relazione. È un evento che può scuotere profondamente il senso di sé e il benessere emotivo di una persona. Nelle relazioni, spesso costruiamo una parte significativa della nostra identità intorno al rapporto stesso. La perdita della connessione con un partner, soprattutto se succede di essere lasciati all’improvviso o da un giorno all’altro, può far vacillare il senso di sé, portando a interrogarsi sulla propria identità senza quella relazione. Il senso di abbandono e solitudine può essere travolgente, mentre la ricerca di risposte e chiusure può diventare una sorta di ossessione, con la speranza di trovare un senso alla fine della storia condivisa.
In questo processo, l’autostima può subire un duro colpo, con dubbi che affiorano riguardo alla propria valenza e al proprio valore come partner. Tuttavia, anche in mezzo a questa tempesta emotiva, c’è spazio per la crescita e la riflessione. Attraverso la rottura, si può giungere a una maggiore consapevolezza di sé stessi e dei propri bisogni, aprendo la strada a una crescita personale significativa e a una maggiore resilienza emotiva. È un viaggio difficile e doloroso, ma anche un’opportunità per riscoprire sé stessi e per intraprendere un nuovo percorso verso la guarigione e la felicità.
Essere lasciati durante l’adolescenza: perché fa così male?
L’adolescenza è una fase evolutiva caratterizzata da:
- separazione dalle figure genitoriali
- costruzione della propria identità
- sperimentazione nella relazione con i coetanei come luogo di costruzione del Sé, dell’ apprendimento della regolazione delle emozioni e della distanza tra sé e l’altro.
Spesso l’adolescenza viene considerata come sinonimo di inconsistenza e transitorietà dei legami affettivi e amicali, in considerazione della giovane età dei diretti interessati.
In realtà non è così. I sentimenti e gli affetti sviluppati nel corso dell’adolescenza sono vissuti dai giovani come forti, profondi, totalizzanti, hanno il valore della conferma dello sguardo dell’altro e la funzione di costruire le basi relazionali della propria identità.
La relazioni affettive e sentimentali in adolescenza sono una sorta di palestra in cui l’adolescente inizia ad ‘allenarsi’ in uno spazio separato e diverso da quello della famiglia nella costruzione e cura delle relazioni con l’altro, nella gestione delle emozioni, nelle prime esperienze sessuali. Il ragazzo inizia a scegliere in modo autonomo e responsabile verso chi avvicinarsi, verso chi sentirsi simile e attratto o lontano e diverso.
Nella società attuale definita come narcisistica o post narcisistica la nuova modalità di amare e stare in coppia alimenta il valore del Sé, piuttosto che il valore dell’altro. La relazione con l’altro è lo specchio della realizzazione personale. È un vincolo animato da un forte bisogno di rispecchiamento reciproco, utile per trovare sostegno e rinforzo lungo la strada della crescita.
Cosa prova un adolescente quando viene lasciato?
Quando una relazione amicale o affettiva si conclude in adolescenza, il dolore derivante dalla separazione è una sorta di lutto della relazione con l’altro, dell’altro come presenza e persona, del significato che l’altro ha avuto dentro di sé.
A differenza del giovane-adulto, in cui l’identità e l’autonomia del sé risultano più strutturati e dunque è presente nella mente la possibilità anche di pensarsi separato dall’altro, l’essere lasciato in un adolescente può essere vissuto come un trauma, come un vuoto incolmabile. La separazione può sollecitare reazioni emotive anche forti di rabbia, svalutazione di sé, colpa e vergogna.
È come se ci fosse una sorta di equazione simbolica tra abbandono e senso di inadeguatezza alla vita, alla società, a un mondo dei pari, che viene vissuto dai giovani come basato più su dinamiche di un confronto competitivo che di una collaborazione supportiva.
Perché è difficile essere lasciati?
La fine di una relazione, come abbiamo detto, può destabilizzare sia l’adulto che l’adolescente. Quest’ultimo, in particolare, è alle prese con la conoscenza e costruzione della propria identità e con le prime esperienze del corpo sessuato. Tutto questo può portare a vivere il vuoto della relazione con:
Nel versante opposto, possono esserci, come abbiamo detto anche emozioni di rabbia, desideri di vendetta per quello che si considera un torto subito, con la ricerca, a volte, di una sorta di giustizia personale.
Gli adolescenti sono ancora vulnerabili alle risposte degli altri, soprattutto a quelle dei coetanei. I ragazzi si interrogano sul loro valore e sulle loro qualità: “Non sono dunque stato bravo?” “Non sono bello o bella abbastanza?” “Cosa ho sbagliato?”. O ancora: “Gli altri non mi vogliono ed è meglio non fidarsi”.
Questi sono alcuni dei pensieri che i giovani pazienti del Servizio specialistico per adolescenti del Santagostino riportano in alcune sedute di psicoterapia, chiedendo implicitamente agli adulti, ai genitori, agli insegnanti e agli psicoterapeuti di attraversare con loro e accanto a loro l’esperienza della perdita e le emozioni che li stanno travolgendo e facendo traballare.
Come affrontano i giovani le rotture?
Ogni ragazzo ha la sua storia personale e familiare che influenza le reazioni e la possibilità di mentalizzare la perdita e dunque di pensarla e affrontarla in maniera più o meno velocemente, più o meno facilmente.
In particolare, a influenzare le modalità di coping del giovane dell’esperienza del distacco sono:
- le esperienze infantili di relazione con i genitori e le figure di attaccamento principale (nonni, tate…)
- eventuali lutti familiari o esperienze di malattia
- le prime esperienze di distacco dai genitori, come gli inserimenti scolastici, eventuali traslochi o cambiamenti stressanti della vita familiare
- esperienze precedenti di perdita e distacchi dagli altri e dalla qualità di queste esperienze
- modalità in cui è avvenuto il distacco
- qualità della relazione affettiva: quanto è stata buona la relazione con l’amico/partner? Ci sono state dinamiche tossiche che hanno reso più complicato il distacco? È stato un distacco improvviso o pensato e dunque atteso?
- reti sociali e di supporto che il giovane ha intorno a sé (genitori, familiari, amici, compagni)
- capacità di coping interne e dalle risorse soggettive in termini anche di interessi e passioni che possono sostenere il giovane a trovare nuovi investimenti su di sé.
Winnicott, psicoanalista inglese, definiva la capacità di essere solo come una delle conquiste evolutive più difficili, ma al tempo stesso essenziali al raggiungimento della maturità affettiva. Il bambino, che cresce e diventa adolescente, sviluppa la capacità di essere solo, che è possibile tradurre anche come la possibilità che il vuoto dell’altro non svuoti il Sé. Questo avviene attraverso l’interiorizzazione di rappresentazioni interne di relazioni affettive in cui ci sia la possibilità di lasciarsi (come dalla mamma in fase infantile) e ritrovarsi in un secondo momento, in cui l’autonomia è sostenuta anche in presenza dell’altro.
Qual è l’impatto emotivo delle separazioni nell’adolescente?
Le reazioni emotive alla conclusione di una relazione affettiva o amicale dipendono dunque dai fattori che abbiamo visto nel paragrafo precedente.
Tanto più questi fattori sono presenti in una dimensione traumatica, irrisolta, di complessità emotiva, senza reti di supporto, tanto più la sofferenza soggettiva e percepita dal ragazzo/a può durare a lungo o essere intensa e significativa.
È il caso in cui iniziano essere presenti per più di 2 settimane di:
- umore depresso
- mancanza di interesse per attività anche quelle più quotidiane (come scuola o amici)
- ideazione suicidaria e/o pensieri di morte
- autolesionismo
- perdita dell’appetito o abbuffate
- sentimenti di autosvalutazione, colpa o vergogna
- difficoltà a pensare o concentrarsi
- insonnia o ipersonnia.
Possono essere presenti per lo stesso periodo, in maniera complementare, anche:
- forte irritabilità
- difficoltà a controllare la rabbia con comportamenti agiti di rottura di oggetti
- disturbi psicosomatici, senza alcuna spiegazione medica, come dolore al torace, emicrania, nausea e vomito o vertigini.
L’impatto emotivo della rottura può in particolare essere più difficile, e dunque necessitare di un supporto professionale, quando la relazione affettiva ha avuto delle caratteristiche tossiche, con:
- dinamiche di controllo sull’altro
- manipolazione affettiva
- dipendenza affettiva patologica.
Questo tipo di relazioni sono sempre più comuni tra i giovani, in cui l’amore per l’altro viene confuso con il bisogno che l’altro sia dove e come lo vogliamo, nel luogo, nel ruolo e nella distanza in cui lo mettiamo.
Cosa succede al cervello quando ci si lascia?
Alcune ricerche evidenziano come alla base dell’innamoramento, e dunque dell’inizio di una relazione sentimentale, vi sia una maggiore attivazione della VTA, Area Tegmentale Ventrale. Questa ha un ruolo importante nella “funzione della ricompensa”, attraverso il rilascio di neurotrasmettitori come la dopamina e la serotonina.
I meccanismi cerebrali sono analoghi a quelli che sono alla base della dipendenza da sostanze stupefacenti.
Dopo una separazione si attivano invece a livello cerebrale i sistemi di stress e del dolore, per cui i livelli di oppioidi endogeni tendono a diminuire. Questa diminuzione contribuisce a una maggiore sperimentazione di sofferenza e dolore percepito, con un aumento di corticotropina e noradrenalina. Questi due neurotrasmettitori stanno alla base della preparazione del corpo, sia a livello fisico che psichico, a una reazione di ‘fuga o attacco’ di fronte a stress emotivi o fisici.
Come andare avanti dopo la fine di una relazione?
Dopo essere stati lasciati, è fondamentale che i giovani possano sentire la possibilità di essere accolti dagli adulti di riferimento nella loro sofferenza dovuta all’esperienza del distacco. L’obiettivo è che, in modo tale, possano attraversare e dunque anche imparare a confrontarsi e gestire emozioni negative come quelle di rabbia, tristezza, disperazione, vuoto e nostalgia, senza farsi distruggere dalle stesse.
I genitori, come gli insegnanti e gli educatori o gli psicologi possono essere dei modelli importanti, se si fanno portavoce di esperienze di perdite vissute e non negate, affrontate, senza che ci sia stata un’accelerazione nella ‘normalità’ o una disperazione senza fine.
La fine di una storia può costituire un momento di scoperta di sé, in cui il giovane può stupirsi di fronte a desideri prima inespressi, a progetti o idee creative messi da parte durante la relazione precedente e ora vissuti come vitali ed essenziali, a capacità nuove, prima inibite, di socializzare o creare nuove relazioni amicali.
L’attraversamento della perdita dell’altro e della relazione con l’altro può diventare un momento di crescita fondamentale in cui il giovane fa un salto nella vita adulta e nell’accettazione del dolore come parte integrante della vita e della possibilità di sopravvivere e vivere oltre la perdita.
Cosa non fare dopo che ci si lascia?
Dopo una conclusione di una relazione può esserci il rischio per gli adolescenti o di negare o nascondere la sofferenza emotiva, per un senso di vergogna nel mostrare la propria fragilità, o per paura di farsi vedere deboli’, o, al contrario, di sentire come le emozioni in quel momento siano totali: l’unico pensiero della loro mente.
Dopo essere stati lasciati, non è raro ricorrere alla strategia del “chiodo-scaccia-chiodo” che alcuni ragazzi/e mettono in atto per sostituire chi li ha lasciati con qualcun altro e riparare velocemente la ferita dell’abbandono. Tale strategia può, tuttavia, amplificare la confusione interna e ripetere dinamiche e vissuti della relazione appena conclusa, che hanno magari portato alla rottura.
È fondamentale che ci sia la possibilità di soffermarsi sui propri vissuti emotivi, senza negarli o amplificarli, chiedendo aiuto agli adulti, ad amici e professionisti nel caso in cui si faccia fatica a gestire le proprie emozioni e a sostare nella solitudine.
Quando ricorrere al supporto professionale dopo essere stati lasciati?
Dopo essere stati lasciati, alcuni segnali di allarme da non sottovalutare che richiedono un intervento specialistico includono:
- la presenza di pensieri di morte e/o ideazioni suicidarie frequenti e con metodo e pianificazione
- umore depresso presente per una durata maggiore di 2 settimane
- appiattimento emotivo e affettivo, apatia
- graduale ma progressivo ritiro del giovane dalle relazioni sociali e dalle attività quotidiane esterne a casa
- rabbia, irritabilità frequente che non riesce a calmarsi
- ogni forma di sintomo o sofferenza che il giovane si sente non in grado di gestire.
Nel caso in cui la sofferenza espressa e percepita dal giovane sia troppo intensa e troppo duratura, è fondamentale l’aiuto dei genitori o di adulti di riferimento in modo tale da poter chiedere aiuto a professionisti psicoterapeuti, competenti di adolescenza e giovani adulti. In questo modo, i giovani possono essere aiutati a comprenderne le cause e a trovare modalità protettive ed evolutive di gestione della perdita attraverso un percorso personale di psicoterapia.
(1 Marzo 2024)