Lo stalking, il comportamento persecutorio messo in atto nei confronti di una persona che rifiuta una relazione, è un fenomeno diffuso: ne è vittima almeno una volta nella vita una persona su cinque. Ma in che cosa consiste? E come ci si difende?
Si definisce “stalker” chi è ossessionato da un’altra persona, al punto che passa il suo tempo a pedinarla, a telefonarle, a tempestarla di mail, sms e a farle regali. Peccato che l’altra non ne voglia sapere e abbia cercato di farglielo capire in tutti i modi. Inutile, anzi, controproducente: lo stalker non si arrende mai, nemmeno di fronte all’evidenza.
L’origine del termine
Stalking è un termine inglese mutuato dalla caccia. Significa “braccare”, appostarsi per tenere d’occhio la preda. Lo stalking comprende infatti un insieme di comportamenti molesti e continui, che vanno dagli appostamenti sotto casa della vittima, ai pedinamenti, a telefonate oscene o indesiderate, ai messaggi continui, all’invio di oggetti non richiesti. Accanto allo stalking suscita sempre più attenzione anche il fenomeno del cyberstalking, proprio di chi molesta attraverso mail, virus informatici, diffusione di materiale personale o diffamatorio, e talvolta assumendo l’identità della propria vittima nei social network.
Ma qual è lo spartiacque tra la semplice schermaglia amorosa e le molestie vere e proprie? Fondamentalmente la posizione della vittima. Se questa ha espresso un netto rifiuto mentre l’altro non desiste, quello è uno stalker.
Cinque tipologie
Chi è lo stalker? Nella maggior parte dei casi è maschio e giovane (tra i 18 e i 25 anni), ma non mancano le donne (10-20 per cento) e non sono certo rari i casi di persone di mezza età o anziane. Alla base possono esserci motivazioni diverse. Lo psichiatra Paul Mullen (Università di Melbourne) ha tentato di darne una classificazione, distinguendo 5 tipologie di molestatore: il respinto, il risentito, il bisognoso d’affetto, l’incompetente e il predatore.
Il respinto è la tipologia più comune: rifiutato dal/dalla partner, non accetta la fine di una relazione e vuole riconciliarsi. In genere è consapevole che le insistenze, che spesso sconfinano in minacce e aggressioni, non fanno che allontanare questa possibilità, ma non riesce a farne a meno. Anche perché il senso di angoscia e di inquietudine che si accorge di provocare nella vittima rinforzano la sua volontà di rivalsa. Casi paradigmatici che ben esemplificano gli stalker di questa categoria sono la Alex di Attrazione fatale (1987) o il Noah del film Il ragazzo della porta accanto (2015). In entrambi i casi lo stalking nasce da una fugace relazione con una persona sposata che l’amante non vorrebbe interrompere: l’escalation di azioni messe in atto a questo fine è terrificante e sempre più pericolosa.
Il rancoroso è invece alimentato da una volontà di vendetta. Ritiene di aver subito un grave torto da una persona, tanto da decidere di consacrare la propria esistenza a perseguire un piano punitivo nei suoi confronti. La molla principale è il senso di potere e di controllo sulla vittima, che gratifica e rinforza il suo comportamento. In questi casi lo stalker è spesso affetto da un disturbo di personalità, il “narcisismo maligno”.
Le forme del narcisismo: timido e ansioso o arrogante e manipolatore?
C’è poi il bisognoso d’affetto, una persona estremamente sola che cerca un rapporto intimo (d’amicizia o d’amore, il sesso è molto meno importante) con un partner idealizzato. Di questa categoria fanno parte gli affetti dalla “sindrome di de Clérambault”, descritta anche dallo scrittore Ian McEwan nel romanzo L’amore fatale. Si tratta di casi piuttosto rari, alla cui base c’è un vero e proprio delirio (è il cosiddetto “delirio erotomanico”) che comporta la perdita di contatto con la realtà: il molestatore è assolutamente convinto di essere amato da un’altra persona, in genere altolocata o famosa (spesso è un personaggio dello spettacolo). Può bastare un niente, uno sguardo, un sorriso, un gesto, che viene mal interpretato facendo scattare le premesse di una totale intesa con l’altro. Quando l’oggetto d’amore cerca di chiarire il malinteso non ha successo perché le sue parole e azioni sono reinterpretate dal molestatore come conferma della reciprocità dell’interesse. “Mi respinge perché non riesce ad ammettere che mi ama” o “Ha paura dei suoi sentimenti” o “Teme che non lo ricambi”, e così via. Il bisognoso d’affetto dedica cioè buona parte delle sue energie mentali a reinterpretare parole e gesti della persona amata per capovolgerne il significato. Di questa categoria fanno parte gli stalker più insistenti e, per certi versi, più inquietanti.
Più innocuo è l’incompetente. Il suo problema è semplicemente l’incapacità di mettere in atto i rituali del corteggiamento. Si pensi all’uomo con atteggiamenti da macho, convinto del proprio fascino e del fatto che le donne debbano subirlo. Le sue modalità sono grezze, esplicite, spesso fastidiose quando non aggressive o moleste. In genere la sua insistenza dura poco: dopo i ripetuti due di picche, l’incompetente si rivolge ad altre prede, mettendo in atto le medesime controproducenti modalità.
Il più raro in assoluto, nonché il più pericoloso (e il più radicato nell’immaginario collettivo), è il predatore, il vero e proprio maniaco da stereotipo. Il suo obiettivo è l’appagamento sessuale. Più che a spaventare e torturare la sua vittima (generalmente sconosciuta), si diverte a osservarla di nascosto. Sono sempre uomini e spesso vengono arrestati per molestie sessuali.
Come difendersi
A prescindere dalle tipologie – che spesso si sovrappongono, come avviene sempre quando si opera una classificazione arbitraria – il denominatore comune dello stalking è l’intrusività, e la messa in atto di molestie varie e continue.
Primo passo: non rispondere. Nella maggior parte dei casi il molestatore ha avuto una relazione con la vittima e a essere “malata” è in realtà la relazione. In altre parole, quando finisce una relazione è frequente che uno dei due partner non riesca ad accettarlo, vivendo le classiche dinamiche dell’elaborazione del lutto. Molto spesso, in casi di questo genere, la persona lasciata spende tempo ed energie a convincere il suo molestatore a smettere. Ma questo è un errore, perché è di fatto un premio ai suoi sforzi. Rispondere alle provocazioni, anche in modo negativo, consente allo stalker di mantenere viva quella relazione che egli non si sente preparato a perdere, e inoltre gli dà un senso di potere. Quindi, prima regola per le vittime di stalking: chiarire, senza ambiguità e malintesi, che non si è più interessati alla relazione, dopo di che evitare ogni contatto, e soprattutto discussioni e contro-argomentazioni. È bene anche evitare di rispondere alle lettere o di restituire regali indesiderati.
Secondo passo: avvisare parenti e polizia. Se con l’interruzione dei contatti la faccenda non si risolve e si fa anzi pesante, conviene mettere in atto misure di sicurezza: modificare la propria routine, cambiare spesso strada durante gli spostamenti, muoversi a ore diverse e limitare l’uso dei social per non fornire “agganci” allo stalker. Meglio inoltre non rispondere mai al telefono e informare familiari, amici e conoscenti. Può anche essere necessario avvertire la polizia, che può diffidare lo stalker. Spesso questo basta a convincerlo a smettere. Meglio non indugiare troppo, perché le conseguenze di uno stalking assiduo possono essere anche gravi. Tralasciando i casi estremi (persecuzioni che si traducono in atti lesivi), in circa la metà dei casi la vittima finisce per sviluppare un disturbo da stress post-traumatico, manifestando sintomi ansiosi che possono durare anche per lungo tempo.
Che cosa dice la legge
In Italia c’è voluto un po’ prima che il sistema giuridico si sensibilizzasse al problema, e non certo perché da noi lo stalking non sia diffuso (sembra anzi che una persona su cinque ne sia vittima almeno una volta nella vita). È solo dal 2009, con la “legge Maroni”, che lo stalking è considerato una condotta penalmente rilevante, configurandosi nel reato di “atti persecutori”, punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Prima di questa legge lo stalking era considerato un reato di poco conto, per il quale non erano previste misure di sicurezza. Inoltre chi denunciava spesso non veniva creduto, anche perché lo stalking è un reato cosiddetto “a fisarmonica”: si va cioè da casi molto lievi – le “normali” insistenze di chi non accetta la fine di un amore – a persecuzioni molto gravi, che mettono in pericolo l’equilibrio psicologico, e qualche volta anche la vita della vittima.
Oggi chi subisce comportamenti persecutori può rivolgersi al questore, chiedendo un “ammonimento” alla persona responsabile di stalking (si tratta di una specie di diffida a non ripetere questi comportamenti). Nei casi più gravi è opportuno rivolgersi alla procura della repubblica presentando una querela (entro sei mesi dall’ultimo atto intimidatorio o persecutorio), cui seguiranno indagini e l’eventuale incriminazione del persecutore.