Il termine victim blaming si riferisce a una tendenza diffusa nella società per cui le vittime di episodi di violenza vengono in parte o completamente colpevolizzate per quanto hanno subito.
Invece di ricevere il sostegno e la solidarietà di cui hanno bisogno, le vittime spesso si trovano ad affrontare giudizi, critiche e addirittura l’accusa di aver contribuito in qualche modo alla loro stessa sofferenza. Un fenomeno molto spesso alimentato da pregiudizi e stereotipi radicati nella società.
Approfondiamo il significato e alcuni esempi di victim blaming, per poi analizzarne le conseguenze e le modalità di intervento più efficaci in questi casi.
Cosa vuol dire victim blaming?
L’espressione inglese victmin blaming significa ‘colpevolizzazione della vittima’. Sta a indicare il fenomeno per cui si fa ricadere su una vittima di violenza, del tutto o in parte, la colpa di quanto le è accaduto, spesso sottointendendo una sua corresponsabilità negli eventi.
Quando la vittima diventa colpevole?
Il victim blaming è un processo psicologico che comporta un’inversione dei ruoli tradizionali di vittima e colpevole: invece di condannare il comportamento degli aggressori, il focus si sposta sulle azioni o le decisioni delle vittime.
Un comportamento che non solo giustifica l’aggressione subita, ma trasferisce la responsabilità dall’aggressore alla vittima stessa. Viene costruita una narrazione in cui sembra che le vittime abbiano “meritato” o contribuito in qualche modo a ciò che stato inflitto loro. Il misfatto commesso dall’aggressore viene messo in secondo piano, mentre l’atteggiamento di chi ha subito violenze diventa il punto focale della discussione: viene sottoposto al vaglio, alla ricerca di falle, di errori che ridimensionino il suo ruolo di vittima.
La vittimizzazione secondaria
Piuttosto che ricevere aiuto, le vittime di reati vengono ulteriormente umiliate e accusate per quanto hanno subito. Si parla di vittimizzazione secondaria: la condizione in cui la vittima di un trauma, un sopruso o un reato subisce un’altra forma di abuso a partire dal suo status di vittima.
Questo fenomeno può coinvolgere individui di ogni età, dai più giovani agli adulti. Un esempio, nella vita di tutti i giorni, può essere una rissa tra studenti in una scuola: anziché incolpare il bullo che ha dato inizio all’aggressione, spesso la responsabilità viene imputata a chi ha cercato di difendersi o reagire.
La vittimizzazione diventa particolarmente evidente quando le vittime cercano aiuto presso le autorità, come nel caso delle donne che denunciano casi di violenza tra le mura domestiche o stalking e vengono accusate di aver contribuito all’aggressione a causa del loro comportamento, abbigliamento o ritardo nella denuncia.
Nei casi di violenza contro le donne è evidente come la predisposizione a incolpare le vittime sia influenzata da stereotipi di genere: credenze largamente radicate e diffuse su come dovrebbero agire, quali ruoli e occupazioni dovrebbero assumere, come dovrebbero apparire fisicamente le persone a seconda del loro sesso. Questi costrutti socioculturali influiscono in modo decisivo sul modo in cui si osserva e si valuta la realtà, compresi i casi di abuso e i loro protagonisti.
Quanti tipi di vittimizzazione ci sono?
La vittimizzazione può manifestarsi in vari modi e in diverse situazioni quotidiane. Tra gli ambiti in cui si manifesta maggiormente vi sono:
- la violenza sessuale: coinvolge atti sessuali non consensuali e può verificarsi in una relazione intima o in situazioni slegate da un rapporto tra abusatore e vittima
- la violenza domestica: riguarda la violenza fisica, psicologica o emotiva all’interno di una relazione familiare.
- l’abuso verbale: può includere insulti, minacce o intimidazioni, spesso utilizzati per controllare o manipolare la vittima
- il bullismo e cyberbullismo: si verificano spesso in contesti scolastici o online, con l’aggressore che prende di mira la vittima in vari modi, causando danni emotivi e psicologici
- il mobbing sul luogo di lavoro: coinvolge situazioni in cui un individuo è oggetto di molestie o discriminazione da parte dei colleghi o dei superiori.
Quali possono essere le conseguenze della vittimizzazione?
Le conseguenze del victim blaming possono variare notevolmente a seconda della gravità dell’aggressione e della durata della situazione. Alcune delle conseguenze più comuni includono:
- ansia
- depressione
- disturbi post-traumatici da stress (PTSD)
- bassa autostima
- isolamento sociale
- sentimenti di vergogna e colpa
- perdita di fiducia negli altri (persone e istituzioni)
- problemi di salute mentale.
Le vittime possono sperimentare difficoltà nelle relazioni interpersonali, nei loro percorsi educativi e professionali, e nella loro capacità di condurre una vita soddisfacente. La vittimizzazione può anche avere un impatto duraturo sulla salute fisica, causando:
- disturbi del sonno
- problemi cardiaci
- disturbi gastrointestinali
- altri problemi fisici correlati allo stress.
Come si esce dal ruolo di vittima?
Uscire dal ruolo di vittima può essere un processo complesso, ma è possibile con il sostegno adeguato. Il primo passo fondamentale è quello di riconoscere di essere una vittima e che quanto subito non è colpa propria.
Una volta riconosciuta la propria condizione di vittima, è essenziale cercare aiuto e supporto da parte di professionisti, come psicologi o terapisti, che possono fornire le competenze necessarie per affrontare il trauma e le sue conseguenze. Partecipare a gruppi di sostegno o cercare il supporto di amici e familiari può svolgere un ruolo significativo nel processo di guarigione.
Riacquistare il senso di controllo sulla propria vita, lavorare per superare i traumi e ritrovare la fiducia in sé stessi richiede tempo e dedizione, ma con le risorse adeguate molte persone sono in grado di superare queste esperienze e iniziare un nuovo percorso di vita.
(3 Settembre 2024)