Psichiatria

Gli antipsicotici: a cosa servono e quando prenderli

Gli antipsicotici sono una classe di farmaci che trovano impiego in una vasta gamma di disturbi psichiatrici. Vediamo quando sono indicati, come funzionano e quali sono gli effetti collaterali

Gli antipsicotici: a cosa servono e quando prenderli

Gli antipsicotici sono farmaci utilizzati soprattutto nel trattamento delle psicosi. 

Sono dotati, in particolare, di un effetto in grado di contrastare i sintomi psicotici, come deliri e allucinazioni.

Il dottor Stefano Porcelli, medico psichiatra e responsabile clinico di Santagostino Psiche, offre una breve guida sull’argomento, chiarendo cosa sono gli antipsicotici, come funzionano e quando vengono prescritti.

Cosa sono gli antipsicotici?

Gli antipsicotici sono farmaci impiegati nel trattamento di diverse condizioni psicopatologiche, anche se inizialmente nascevano, come indica il termine stesso, per il trattamento delle psicosi. 

Questo è un termine generico che include un insieme di patologie psichiatriche gravi, accomunate da sintomi quali:

  • Alterazioni dell’esame (senso) di realtà
  • Alterazioni della senso-percezione, con possibile comparsa di allucinazioni a carico di ogni sistema sensoriale (anche se le più frequenti sono le allucinazioni uditive)
  • Alterazioni della forma e del contenuto del pensiero, con possibile difficoltà nel mantenere un linguaggio coerente e la possibilità di comparsa di ideazioni deliranti
  • Alterazioni significative del comportamento, con possibile comparsa di agitazione psicomotoria, attività motoria disorganizzata o rallentamento/blocco psicomotorio 

Nelle psicosi, i farmaci antipsicotici determinano:

  • una progressiva riduzione e scomparsa delle alterazioni della senso-percezione (allucinazioni)
  • favoriscono il recupero di una corretta organizzazione del pensiero (e quindi del linguaggio) e del comportamento (calmando l’agitazione psicomotoria e gli altri sintomi comportamentali delle psicosi). 

Tali effetti appaiono mediati dall’attività di riduzione della trasmissione dopaminergica, che si ritiene alterata e aumentata nelle psicosi, in particolare nella schizofrenia.

Meccanismo d’azione

I farmaci antipsicotici agiscono principalmente come bloccanti dei recettori per la dopamina, in particolare di un sottotipo di recettori dopaminergici, chiamati D2. 

Il sistema dopaminergico è un sistema neurotrasmettitoriale (come altri sistemi, quali quello serotoninergico, noradrenergico o GABAergico) del nostro sistema nervoso centrale. In questo sistema, come avviene in tutti i sistemi neurotrasmettitoriali, le informazioni passano in forma di impulsi elettrici attraverso i corpi dei neuroni, i cosiddetti assoni, e arrivano alle sinapsi, i punti di incontro tra i diversi neuroni. 

Qui determinano, a livello presinaptico, il rilascio di sostanze, chiamate neurotrasmettitori, che a loro volta si legano ai recettori post-sinaptici sul neurone successivo, determinando la genesi di un nuovo segnale elettrico. 

In base alla quantità di neurotrasmettitore rilasciato e a quali recettori vengono stimolati (oltre ad altre modulazioni) si determina il tipo di informazione trasmessa, tramite l’impulso elettrico successivo, e i suoi effetti biologici conseguenti. 

Perché sono efficaci gli antipsicotici?

A oggi si ritiene che la sintomatologia psicotica, quali allucinazioni e deliri, sia causata da una iperattivazione dopaminergica in alcune aree del cervello. Quindi gli antipsicotici, agendo sui recettori D2 e bloccando parzialmente tale trasmissione, determinano una progressiva riduzione dell’iperattivazione, causando la scomparsa o la riduzione dei sintomi psicotici.

L’efficacia nel bloccare i vari tipi di neurotrasmettitori varia a seconda delle diverse molecole utilizzate, ma tutti i farmaci appartenenti a questa classe bloccano a qualche livello la trasmissione dopaminergica. 

Alcuni degli antipsicotici più recenti, ovvero di seconda generazione, oltre a bloccare la trasmissione dopaminergica, riducono anche la trasmissione nel sistema della serotonina

Tale effetto è stato introdotto per ridurre gli effetti collaterali degli antipsicotici di prima generazione, che tendevano a determinare un blocco eccessivo della trasmissione dopaminergica: il sistema serotoninergico, infatti, ha un’attività inibitoria fisiologica sul sistema dopaminergico. Questo blocco eccessivo della trasmissione dopaminergica ha effetti collaterali significativi come:

  • Comparsa di sintomi simil-parkinsoniani
  • Rallentamento psico-motorio generalizzato
  • Comparsa di apatia e abulia

Pertanto gli antipsicotici di seconda generazione appaiono maggiormente tollerati, per quanto riguarda gli effetti avversi, rispetto agli antipsicotici di prima generazione, mentre non differiscono in termini di efficacia nel controllo dei sintomi psicotici. 

Tuttavia, anche gli antipsicotici di seconda generazione non sono esenti da effetti collaterali, in quanto possono determinare incremento ponderale e comparsa di sindrome dismetabolica. Quindi, la scelta dello specifico antipsicotico nel singolo paziente richiede un’attenta valutazione dei profili di tollerabilità da parte del medico prescrittore. 

Quanto ci mettono gli antipsicotici a fare effetto? 

Questi psicofarmaci hanno un effetto rapido su sintomi come agitazione, angoscia e ansia, che solitamente si manifesta nell’arco di poche ore o pochi giorni. Richiedono invece più tempo, solitamente dalle 2 alle 4 settimane, per incidere sui sintomi psicotici presenti, in particolare sui deliri.

Gli antipsicotici possono essere assunti sia per via orale che parenterale (tramite iniezioni). È possibile anche ricorrere a formulazioni a lento rilascio, che hanno un effetto prolungato e possono essere assunti a intervalli di tempo anche molto lunghi, di uno o tre mesi. 

Chi prende antipsicotici?

Gli antipsicotici vengono generalmente prescritti in caso di:

  • Schizofrenia
  • Disturbo schizoaffettivo
  • Disturbo delirante
  • Disturbi psicotici di diverso tipo (breve, condiviso, indotto da sostanze, etc.)
  • Depressione resistente ad altri trattamenti
  • Depressione con sintomi psicotici
  • La fase maniacale del disturbo bipolare
  • Sintomi psicologici o comportamentali in pazienti affetti da decadimento cognitivo moderato-severo (demenza)
  • Delirio.

Oltre a queste indicazioni, questi medicinali sono stati valutati come trattamento coadiuvante (aggiuntivo) per:

A basse dosi, sono utilizzati con successo anche per controllare il comportamento impulsivo e i sintomi cognitivo-percettivi nel disturbo borderline di personalità e nella schizotipia. Tuttavia, a causa degli effetti collaterali, sono considerati farmaci di seconda scelta in questa tipologia di pazienti e vengono utilizzati solo se i trattamenti di prima linea si sono rivelati inefficaci.

Nel disturbo ossessivo-compulsivo, nel disturbo post-traumatico da stress e nei disturbi della personalità vengono quasi sempre utilizzati come terapia coadiuvante, quando la risposta alla terapia principale non è ottimale o scarsa. Infatti nell’utilizzo di questi farmaci, che sono gravati da effetti collaterali significativi, è sempre importante fare un’attenta valutazione dei rischi e dei benefici previsti, per determinare quando è opportuno assumerli nei singoli casi. 

Uso degli antipsicotici nei giovani

La valutazione dei rischi e dei benefici prima della prescrizione di antipsicotici è particolarmente importante in determinate sottopopolazioni di pazienti, come nei giovani adulti e ancora di più negli adolescenti. In queste popolazioni il loro utilizzo deve essere attentamente ponderato e devono essere utilizzati solo in situazioni in cui altre opzioni terapeutiche non siano indicate o non abbiano avuto successo. 

Anche in questi casi, la scelta del farmaco da utilizzare dovrebbe essere basata sulla valutazione individuale del profilo di tollerabilità per ciascun paziente.

Antipsicotici in gravidanza

L’utilizzo di antipsicotici durante la gravidanza è considerato relativamente sicuro, specialmente se confrontato con il rischio di una ricaduta psicotica dovuta a una interruzione del trattamento, con conseguente aumento del rischio di suicidio e di infanticidio

Tuttavia, alcune evidenze indicano un’associazione tra l’uso di antipsicotici durante la gestazione e l’insorgenza di condizioni come diabete gestazionale, distress respiratorio neonatale e sintomi di sospensione, che possono portare a potenziali complicanze perinatali gravi. 

È pertanto necessario, quando si prescrivono tali farmaci a una donna in gravidanza, valutare attentamente i pro e i contro di tale prescrizione nella singola paziente e procedere alla prescrizione solo quando realmente utile e necessario. In tale caso è poi fondamentale procedere a un attento monitoraggio clinico per minimizzare i rischi per la donna e il feto dovuto all’utilizzo di tali farmaci durante la gestazione. 

Classificazione

Gli antipsicotici sono solitamente suddivisi in due grandi classi:

  • Gli Antipsicotici di prima generazione (neurolettici o tipici): sintetizzati per primi, si caratterizzano per un’attività pura antidopaminergica.
  • Gli Antipsicotici di seconda generazione (o atipici): nuova classe di farmaci sviluppata in epoca più recente, si caratterizzano per il doppio blocco a livello dopaminergico e serotoninergico o per profili recettoriali differenti (ad esempio: agonisti parziali dopaminergici).

Antipsicotici di prima generazione

Gli antipsicotici di prima generazione, o tipici, come accennato, sono stati sintetizzati per primi. Questi farmaci, oltre a bloccare il sistema della dopamina, esercitano diverse azioni anche su altri sistemi, oggi ritenuti implicati principalmente nella genesi di alcuni effetti collaterali osservati. Includono:

  • Clorpromazina
  • Aloperidolo
  • Flufenazina
  • Perfenazina
  • Clotiapina
  • Promazina
  • Tioridazina
  • Trifluoperazina.

Antipsicotici di seconda generazione

Gli antipsicotici di seconda generazione, o atipici, agiscono bloccando anche il sistema della serotonina, oltre a quello della dopamina. 

Questi farmaci, rispetto a quelli di prima generazione, sono generalmente meglio tollerati per quanto riguarda gli effetti collaterali dovuti ad un eccessivo blocco dopaminergico (quali i sintomi simil-parkinsoniani, l’appiattimento emotivo, la riduzione della motivazione, etc.), mentre hanno un rischio maggiore di indurre incremento ponderale e la sindrome dismetabolica. 

Ecco un elenco degli antipsicotici tipici:

  • Clozapina
  • Aripiprazolo
  • Asenapina
  • Cariprazina
  • Brexpiprazolo
  • Iloperidone
  • Lurasidone
  • Olanzapina
  • Paliperidone
  • Quetiapina
  • Risperidone
  • Ziprasidone.

Effetti collaterali

Come abbiamo visto, gli antipsicotici possono dare esito a una serie di effetti avversi di diverso tipo, a seconda che questo tipo di farmaci siano più o meno recenti. Entriamo nel dettaglio.

Gli effetti collaterali degli antipsicotici di prima generazione

Gli effetti collaterali degli antipsicotici di prima generazione includono:

Altre conseguenze avverse meno frequenti possono interessare la cute e alterazioni della crasi ematica (alterazioni sanguigne). Un effetto indesiderato raro ma grave è la cosiddetta sindrome maligna da antipsicotici, che si manifesta solitamente con dosaggi elevati di tali farmaci e in soggetti con spiccata sensibilità verso gli stessi. La sindrome maligna da antipsicotici esordisce generalmente con:

In tali casi, è opportuno che il paziente acceda al più presto al più vicino pronto soccorso per ricevere le cure del caso, essendo una condizione che mette a rischio la vita del paziente.

Gli effetti collaterali degli antipsicotici di seconda generazione

Gli antipsicotici di seconda generazione presentano, come riportato in precedenza, un miglior profilo di tollerabilità rispetto agli antipsicotici tipici per quanto concerne gli effetti collaterali motori, sul tono dell’umore e sulla motivazione. Per questo motivo sono generalmente preferiti rispetto agli antipsicotici di prima generazione. 

Tuttavia, anche i farmaci di seconda generazione presentano alcuni aspetti critici sul piano della tollerabilità. In particolare inducono spesso un incremento ponderale, con alterazione del metabolismo dei grassi e del glucosio e quindi aumentando il rischio di sviluppare diabete mellito e sindrome dismetabolica.

La clozapina, infine, può determinare altri effetti collaterali gravi, quali:

  • Alterazioni della crasi ematica, con riduzione marcata dei granulociti, una tipologia di globuli bianchi, ma anche di altri elementi ematici
  • Blocco intestinale
  • Miocardite

Per questo motivo la clozapina viene utilizzata solo in caso di mancata risposta ad altri antipsicotici (almeno due diversi, di classi diverse) e necessita di controlli clinici stretti, ogni mese, compreso prelievo ematochimico con conteggio dei globuli bianchi ed elettrocardiogramma.

Discinesia tardiva

Infine, gli antipsicotici (soprattutto quelli di prima generazione), possono aumentare il rischio di sviluppare discinesia tardiva. La discinesia tardiva è una patologia a genesi multifattoriale che si presenta solitamente dopo i 60 anni. Spesso è irreversibile e si manifesta con rapidi movimenti involontari o semivolontari (simili a tic), lente contrazioni muscolari che interessano volto, collo, tronco, lingua, muscoli della respirazione e deglutizione.

Qual è l’antipsicotico più forte? 

Tra gli antipsicotici, la clozapina è considerata il farmaco più efficace contro i sintomi psicotici. Tuttavia, il suo utilizzo è spesso limitato a causa degli effetti collaterali gravi e della necessità di monitoraggio costante, come riportato in precedenza.

Effetto rebound

Gli antipsicotici rientrano tra i farmaci che possono causare il cosiddetto effetto rebound, che si verifica quando si interrompe bruscamente l’assunzione del farmaco o si riduce il dosaggio in modo inappropriato. Infatti un’improvvisa sospensione o una riduzione brusca del dosaggio possono determinare un “riaccendersi” dei sintomi della malattia, che possono manifestarsi in modo intenso e simile agli stati precedenti all’inizio del trattamento farmacologico. 

Pertanto, è fondamentale seguire sempre le indicazioni del medico riguardo al dosaggio, al modo e al programma di assunzione. È estremamente importante non interrompere né modificare la terapia, senza consultare preventivamente uno specialista.