Psicofarmaci: quali sono i rischi e i benefici

Il funzionamento, le categorie in cui si differenziano, i campi di applicazione, gli effetti sull'organismo e le risposte alle domande più frequenti.

Gli psicofarmaci sono un aiuto fondamentale in molte condizioni di disagio psichico o emotivo, ma spesso suscitano diffidenza.

Lo stigma che grava sulle persone affette da un malessere psicologico deriva in molte occasioni dalla paura verso le cure che vengono adottate, compresi gli psicofarmaci. Chi soffre di disturbi mentali tende a esitare nel chiedere aiuto, e tarda così a ricevere il supporto di un professionista e i benefici terapeutici di questi farmaci.

Bisogna dunque conoscere meglio gli psicofarmaci, il loro meccanismo d’azione e il loro utilizzo, così da operare una scelta in piena consapevolezza verso lo stare bene. Anche perché gli psicofarmaci pongono domande cui il professionista è tenuto a rispondere.

Che cosa sono e cosa fanno gli psicofarmaci?

Gli psicofarmaci sono tutti quei principi attivi che agiscono a livello del sistema nervoso centrale, regolando, in via negativa o positiva, il rilascio dei neurotrasmettitori, vale a dire i segnali chimici di comunicazione tra i neuroni.

Operano quindi sotto traccia, per così dire, per modulare l’espressione delle emozioni che noi tutti proviamo in modo fisiologico. Stati emotivi quali ansia, tristezza oppure rabbia e aggressività.

Spesso queste emozioni sono espresse in modo esagerato e la funzione degli psicofarmaci è quindi quella di riportarle in un contesto fisiologico, tollerabile e malleabile, attraverso anche l’indispensabile ausilio della psicoterapia.

Quando si ha bisogno di psicofarmaci?

Al netto dei principi attivi che caratterizzano le classi di questi farmaci e delle specifiche patologie che affliggono i soggetti, è possibile indicare delle circostanze che prevedono l’assunzione di psicofarmaci:

  • i sintomi del malessere psicologico o emotivo condizionano in modo significativo la qualità di vita del paziente
  • il lavoro è compromesso dallo stato del soggetto
  • le attività ricreative e sportive non danno sollievo o sono del tutto trascurate
  • le relazioni amicali, e affettive, risultano svuotate o compromesse.

La sofferenza diventa intollerabile, e il ricorso ad alcuni tipi di interventi (semplici cambiamenti di vita, i gruppi di auto oppure mutuo aiuto, un primo tentativo di percorso terapeutico) non sortisce alcun effetto se non entro un arco di tempo compreso tra i 6 e i 12 mesi. Un periodo troppo lungo, durante il quale si rischia di compromettere le condizioni già precarie del soggetto, che spesso anche per vergogna rinuncia al supporto farmacologico o del professionista.

In un simile contesto, lo psicofarmaco aiuta il paziente a raggiungere significativi miglioramenti nel giro di poche settimane.

Quali medicinali sono psicofarmaci?

Esistono quattro classi o categorie di psicofarmaci. Questa suddivisione risponde alla loro azione su pazienti affetti da diversi tipi di condizioni:

  • gli antidepressivi, usati per disturbi d’ansia e per il trattamento dei disturbi dell’umore, quali la depressione. Si ricordano, nel dettaglio, gli antidepressivi SSRI, ovvero gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina. I principi attivi sono: paroxetina, sertralina, citalopram, fluoxetina, fluvoxamina, dapoxetina. Senza dimenticare gli antidepressivi triciclici, adottati ormai come seconda scelta rispetto agli antidepressivi SSRI in ambito di disturbo ossessivo compulsivo e depressione maggiore
  • gli ansiolitici quali le benzodiazepine, i farmaci più assunti al mondo dopo gli antinfiammatori. Sono usati per curare stati d’ansia e indurre sonno (prendendo il nome di ipnoinducenti). Sono presenti in farmaci quali Tavor, Xanax, En, Lexotan
  • gli stabilizzatori del tono dell’umore, impiegati soprattutto nei casi di disturbo bipolare e nei casi di disturbi della personalità con sfumature di aggressività e impulsività. Si possono citare il litio (Carbolithium), usato per prevenire il riacutizzarsi delle fasi maniacali o depressive, e la carbamazepina, usata a scopo terapeutico e preventivo per le crisi maniacali. Di introduzione recente, poi, la lamotrigina, sconsigliata durante gravidanza e allattamento
  • gli antipsicotici, divisi in due tipologie: gli antipsicotici convenzionali (clorpromazina, tioridazina, flufenazina) che bloccano i recettori D2 della dopamina, e gli antipsicotici di seconda generazione (aripiprazolo, clozapina, ziprasidone) per mezzo dei quali i recettori della dopamina vengono bloccati con maggiore selettività. Vengono utilizzati nei casi di schizofrenia e negli stati maniacali dei disturbi bipolari.
Tipologia di Farmaco Descrizione Farmaci
Antidepressivi Utilizzati per il trattamento dei disturbi d’ansia e dell’umore, come la depressione
  • SSRI (Paroxetina, Sertralina, Citalopram, Fluoxetina, Fluvoxamina, Dapoxetina)
  • Antidepressivi triciclici
Ansiolitici Benzodiazepine, tra i farmaci più utilizzati al mondo, indicati per ansia e insonnia (ipnoinducenti)
  • Tavor
  • Xanax
  • En
  • Lexotan
Stabilizzatori del tono dell’umore Impiegati per disturbo bipolare e disturbi della personalità con aggressività e impulsività
  • Litio (Carbolithium)
  • Carbamazepina
  • Lamotrigina
Antipsicotici Utilizzati in casi di schizofrenia e stati maniacali dei disturbi bipolari
  • Antipsicotici convenzionali (Clorpromazina, Tioridazina, Flufenazina)
  • Seconda generazione (Aripiprazolo, Clozapina, Ziprasidone)

I benefici degli psicofarmaci

Gli psicofarmaci hanno come primo e unico scopo, insieme agli interventi terapeutici complementari, quello di migliorare la qualità di vita del paziente, riducendo e contrastando i sintomi presenti. Gli psicofarmaci spesso “liberano” il paziente dai sintomi, consentendogli di riprendere le attività quotidiane e abitudini di vita. Basti pensare ai soggetti affetti da disturbo da attacchi di panico, che spesso vedono le proprie libertà ridursi progressivamente a causa dei sintomi.

In questi pazienti spesso un trattamento farmacologico appropriato (idealmente affiancato da un percorso di psicoterapia) consente una remissione completa dei sintomi, con ripresa delle attività prima abbandonate, come per esempio guidare, frequentare concerti e luoghi affollati, fare lunghi viaggi in aereo e treno.

Quanto dura una cura di psicofarmaci?

La durata della terapia con psicofarmaci varia a seconda del tipo di disturbo, della gravità dei sintomi e della storia clinica del paziente.

L’approccio più adeguato consiste nell’adottare una gestione personalizzata della terapia, adattandola alle specifiche esigenze di ogni individuo.

Facendo un discorso generale, la maggioranza dei trattamenti farmacologici in psichiatria ha una durata preventivata media di 1-2 anni. Ciò vuol dire che dopo questo periodo di trattamento, il farmaco può essere sospeso (in modo graduale, sotto controllo di un medico) mantenendo il beneficio raggiunto, in quanto un trattamento di tale durata consente di stabilizzare gli effetti positivi raggiunti.

Nel caso degli antidepressivi, ad esempio, il trattamento è spesso suddiviso in una fase acuta durante il picco della malattia e una fase di mantenimento, che può variare tra i sei e i nove mesi, durante i quali il paziente continua ad assumere il farmaco per prevenire ricadute e consolidare i progressi ottenuti. Per i casi di depressione gravi o recidivanti, la terapia potrebbe estendersi per un anno o addirittura più a lungo.

Vi sono poi alcune specifiche patologie psichiatriche – come la schizofrenia e il disturbo bipolare – in cui è spesso consigliata una terapia farmacologica di mantenimento, che consente di tenere il disturbo sotto controllo. In questi casi, va sottolineato che è la patologia stessa ad avere un andamento cronico e ad essere presente per tutta la vita del soggetto, essendo in parte dipendente dal suo corredo genetico.

Purtroppo, ad oggi, non esistono farmaci curativi in senso stretto per questi disturbi; i farmaci attuali consentono ai pazienti di mantenere un funzionamento generale e una qualità di vita soddisfacenti, spesso meno probabili senza trattamento farmacologico.

In generale, la collaborazione tra paziente e medico è essenziale per stabilire la migliore strategia terapeutica e garantire un percorso di cura adeguato e efficace.

Perché abbiamo pregiudizi sugli psicofarmaci?

A lungo la terapia con psicofarmaci è stata considerata una sorta di “contenimento chimico” della patologia psichiatrica, e continua a essere oggetto di una stigma sociale.

Dall’istituzione dei manicomi nel 1904 con la legge “Giolitti”, il ruolo della psichiatria era stato infatti soprattutto di controllo sociale, attraverso la segregazione manicomiale e la conseguente esclusione dalla società di persone ritenute socialmente pericolose o non più adatte alla vita di comunità. Questo fino al 1978, anno dell’introduzione della legge 180 (la cosiddetta legge “Basaglia”) con cui la psichiatria è stata assimilata alle altre specialità mediche come ambito di cura della persona, ed è stata sancita la chiusura di tutti i manicomi italiani.

I pregiudizi verso il disagio mentale sono intrinseci nella nostra cultura, veicolati da:

  • comunicazione inaccurata: quante volte un crimine viene attribuito erroneamente a condizioni psichiche aberranti piuttosto che alla natura umana?
  • filmografia sugli aspetti più affascinanti (e inquietanti) della psicologia e della psichiatria: chi non ricorda la brillante interpretazione di Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo?
  • banalizzazione e uso improprio della terminologia psichiatrica, come nel caso della moda diffusa sui social network di definirsi “bipolare”, con un’accezione che nulla ha a che vedere con il disturbo bipolare vero e proprio.

Le ragioni alla base del pregiudizio

Lo stigma colpisce soprattutto i trattamenti farmacologici, al punto che fino a pochi anni fa anche alcuni psicologi e psicoterapeuti ne erano influenzati e vedevano in modo negativo un percorso farmacologico associato al trattamento psicoterapeutico, nonostante oggi sia ampiamente dimostrato che tale combinazione dia in molti casi esiti migliori della sola psicoterapia o della sola cura farmacologica.

Le ragioni dell’avversione per gli psicofarmaci sono diverse. Tra queste:

  • effetti collaterali significativi delle prime categorie di farmaci approvati per l’utilizzo in psichiatria (i primi antipsicotici e antidepressivi identificati negli anni Cinquanta-Sessanta)
  • l’utilizzo improprio di alcuni farmaci nei decenni passati (ad esempio l’uso eccessivo di terapie con benzodiazepine, che inducono tolleranza e dipendenza)
  • l’utilizzo della psichiatria come mezzo di controllo sociale-politico (in Italia durante l’epoca fascista, ma anche in seguito considerato che, come abbiamo visto, la funzione di controllo sociale è stata tolta alla psichiatria solamente nel 1978).

Il risultato è che oggi esistono ancora tanti preconcetti sull’utilizzo di questi farmaci. Questo provoca un rifiuto a priori di terapie utili, un ritardo nella richiesta di aiuto, e l’accettazione del trattamento farmacologico come “ultima spiaggia”, solo quando la situazione si è aggravata di molto.

Facciamo allora un po’ di chiarezza.

Che effetti collaterali hanno?

È fondamentale affermarlo con chiarezza: i farmaci psichiatrici sono di norma ben tollerati (altro discorso è l’abuso). Possono tuttavia verificarsi degli effetti collaterali, che in ogni caso non superano mai i vantaggi che il paziente ottiene dalla loro assunzione. Bisogna comunque ricordare che gli effetti collaterali non riguardano tutti i soggetti; alcuni pazienti possono essere più predisposti.

Il principio di fondo delle linee guida, per quanto concerne l’adozione e la posologia degli psicofarmaci, è la scelta del massimo risultato con il minimo sforzo, ovvero dosaggi minimamente alti ma comunque efficaci, accanto al principio del massimo risultato con dosaggi bassi, per poco tempo.

Tipo di Farmaco Effetti Collaterali
Antidepressivi triciclici
Antidepressivi SSRI
Benzodiazepine

 

Possono presentarsi inoltre effetti collaterali comuni quali:

  • disorientamento
  • stato confusionale
  • riduzione di attenzione e apprendimento
  • diminuzione delle capacità mnestiche
  • nei casi di dosaggi elevati, sonno profondo, ipotermia e disartria (difficoltà nell’articolare le parole).

Gli psicofarmaci danno dipendenza?

Come abbiamo visto, la maggior parte degli psicofarmaci ha una durata media di uno-due anni. Dopo questo lasso di tempo, la terapia può essere gradualmente sospesa, con mantenimento del beneficio ottenuto.

Tuttavia, occorre precisare che farmaci che come le benzodiazepine e le cosiddette z-drug (ad esempio il zolpidem e lo zopiclone), solitamente utilizzati per il controllo dell’ansia e per la regolarizzazione del ritmo sonno-veglia, possono causare dipendenza, con l’instaurarsi di:

  • tolleranza: con il tempo per ottenere lo stesso effetto clinico è necessario incrementare progressivamente il dosaggio
  • astinenza alla sospensione brusca del trattamento, caratterizzata da fortissima ansia, una sensazione simile alla sintomatologia per cui spesso si è iniziato il trattamento.

Vale la pena sottolineare che questi farmaci hanno un effetto sintomatologico, ovvero aiutano a controllare i sintomi senza però rappresentare un trattamento curativo. Possono essere utilizzati per un lasso di tempo limitato (qualche settimana, di certo meno di 3 mesi in modo continuativo), quando servono ad affrontare una sintomatologia lieve, che verosimilmente si risolve in modo autonomo in pochi giorni. Ad esempio quando stiamo attendendo l’esito di un esame medico importante e l’ansia non ci consente di dormire o vivere la nostra quotidianità.

Non andrebbero utilizzate in modo continuativo e andrebbero sempre assunte sotto monitoraggio medico.

Chi prende psicofarmaci può bere alcolici?

È noto che chi soffre d’ansia e di depressione è maggiormente predisposto al consumo di alcol perché può percepire l’etanolo come una soluzione per alleviare la sofferenza associata a queste condizioni.

Tuttavia, durante una terapia con psicofarmaci è fondamentale evitare l’assunzione di alcolici per garantire un corretto trattamento ed evitare complicazioni. Bere alcol mentre si assume psicofarmaci può comportare rischi per la salute, oltre a interferire con l’efficacia dei farmaci stessi e causare effetti indesiderati.

In particolare, l’assunzione di alcolici in concomitanza con benzodiazepine può portare a profonda sedazione e fenomeni ipotensivi. Alcuni antidepressivi possono inoltre ritardare l’eliminazione dell’alcol, prolungandone gli effetti e rendendo più difficile il suo smaltimento.

Psicofarmaci e psicoterapia

È importante sottolineare che gli psicofarmaci hanno un’azione sulla sintomatologia, ma non affrontano le cause profonde del disturbo. Per ottenere una vera guarigione è cruciale ricorrere alla psicoterapia, che si occupa di indagare e trattare le radici del problema.

In circa il 30% dei casi di disagio psichico ed emotivo, gli psicofarmaci possono essere fondamentali, agendo come veri e propri salvavita. In queste situazioni, possono portare notevoli benefici e migliorare il benessere della persona.

Tuttavia, nel restante 70% dei casi, gli psicofarmaci svolgono solo un ruolo iniziale verso la conquista di un nuovo equilibrio. Se il paziente desidera ottenere una completa autonomia e risolvere le cause profonde del proprio malessere, deve intraprendere una terapia basata sulla parola.

I benefici della psicoterapia (anche la psicoterapia online), anche quando il paziente si trova nella fase di acuzie del disagio psichico, o quando nelle prime settimane di assunzione i medicinali non hanno ancora sortito alcun effetto, sono numerosi:

  • consapevolezza delle proprie emozioni
  • ordine nelle relazioni tra persone del presente e quelle del passato
  • sviluppo delle capacità di problem solving
  • normalizzazione dell’attività cerebrale.

La psicoterapia è, in definitiva, una riabilitazione psicologica che permette di tornare a camminare con le proprie gambe. Gli psicofarmaci aiutano a compiere il primo passo.