Gli attacchi di panico: cosa fare

Gli attacchi di panico, quando non sono eventi sporadici, rischiano di diventare un vero e proprio disturbo che incide sulla qualità di vita e sul benessere della persona. Tuttavia, è possibile intervenire con diversi e validi approcci terapeutici.

Gli attacchi di panico sono il sintomo di come lansia, ovvero l’arma migliore di fronte allo stress, sia ormai andata fuori controllo.

Possono essere un fenomeno unico, relativamente sporadico, e non richiedere alcun intervento specifico, o, al contrario, evolvere in un vero e proprio disturbo che rende necessario un trattamento.

In questo articolo vedremo come riconoscere gli attacchi di panico, quali possono esserne i fattori scatenanti e in che modo è possibile gestirli. Quando accadono a noi oppure quando colpiscono una persona cara.

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Cosa sono gli attacchi di panico?

Gli attacchi di panico, secondo il DSM-5, sono eventi di improvvisa paura o disagio intensi che raggiungono il picco in pochi minuti, periodo durante il quale si verificano dei sintomi fisici o cognitivi, come avremo modo di approfondire più avanti.

Classificazione degli attacchi di panico

In genere l’attacco di panico è inaspettato, cioè non correlato a una situazione specifica. Nel corso del tempo, tuttavia, le caratteristiche del panico evolvono e queste crisi possono gradualmente collegarsi a condizioni particolari.

In base alle caratteristiche e alla presenza o meno di situazioni scatenanti, gli attacchi di panico possono distinguersi in tre diverse tipologie:

  • inattesi o inaspettati, quando si manifestano imprevedibilmente e senza cause razionali
  • attesi o causati dalla situazione, se accadono a ridosso dell’esposizione o nell’attesa di una situazione scatenante, per via dell’ansia anticipatoria
  • sensibili alla situazione, poiché hanno maggiore possibilità di manifestarsi dopo l’esposizione a un fattore scatenante, anche se non sono necessariamente associati a esso.

Vanno menzionati anche gli attacchi di panico notturni, classificabili tra gli attacchi inaspettati. Tra il 50% e il 70% della popolazione li ha sperimentati in almeno una occasione. Si tratta di bruschi risvegli caratterizzati da forte ansia, disagio e paura. La persona ha poi difficoltà nel riaddormentarsi e tende a evitare il sonno.

Quali sono i sintomi di un attacco di panico?

I sintomi con cui si manifesta una crisi di panico sono sia di tipo fisico che cognitivo.

I sintomi fisici comprendono:

Tra i sintomi cognitivi vi sono invece:

  • paura di morire
  • paura di perdere il controllo o impazzire
  • senso di irrealtà o derealizzazione e depersonalizzazione (sensazione di distacco da sé stessi)

Come si fa a capire se si soffre di attacchi di panico?

I sintomi appena indicati mutano in base alla gravità dell’episodio e alla persona. Ma quando si manifestano almeno quattro tra i sintomi indicati, si parla di attacco di panico. Negli altri casi gli attacchi si definiscono paucisintomatici.

Che differenza c’è tra ansia e attacchi di panico?

L’ansia è una risposta normale allo stress che tutti sperimentiamo in diverse situazioni della vita. Può essere leggera o moderata e, in alcuni casi, può persino essere utile per affrontare delle sfide o difficoltà.

È quando l’ansia diventa eccessiva, costante e incontrollabile, che può essere considerata un disturbo d’ansia, che può includere il disturbo d’ansia generalizzato (GAD) o fobie specifiche, ad esempio.

Come comincia un attacco di panico?

Gli attacchi di panico possono manifestarsi con un improvviso e inaspettato inizio che si contraddistingue per la comparsa di ansia, paura e un marcato senso di disagio. Raggiungono rapidamente l’apice, nell’arco di dieci minuti o meno, e sono spesso accompagnati da un senso di pericolo o catastrofe imminente e dall’urgenza di allontanarsi.

Quando l’attacco di panico diventa un disturbo?

Si parla di disturbo di panico quando si riscontra la comparsa di continui attacchi di panico e una preoccupazione persistente per l’insorgenza di ulteriori attacchi o per le loro conseguenze, come perdere il controllo, avere un attacco cardiaco o impazzire. Altra sua caratteristica è l’alterazione disadattiva del comportamento correlata agli attacchi, come ad esempio l’evitamento di situazioni non familiari.

L’incidenza del disturbo di panico tra la popolazione si colloca tra 1,5% e 3,5%, a seconda delle statistiche di riferimento, attestandosi, in particolare, tra 1,6% e 2,9% nelle donne e tra 0,4% e 1,7% negli uomini.

Circa il 30% della popolazione generale ha avuto o avrà nel corso della sua vita almeno un attacco di panico. Non è ben chiaro quale sia il meccanismo che si instaura nei soggetti che svilupperanno un disturbo di panico, sia in termini psicopatologici sia in termini di caratteristiche personali che rendono vulnerabili alla patologia.

Di fatto, un attacco di panico non costituisce un disturbo psichiatrico da curare, a meno che non divenga l’elemento centrale della vita di una persona organizzandone l’esistenza, facendola sentire perennemente in balia di un nuovo attacco, alimentando quel senso di fragilità che la contraddistingue.

Lo sviluppo della malattia

Come si è visto, il primo attacco di panico che un soggetto esperisce è solitamente un evento inatteso. L’esordio non è quindi legato a uno stimolo particolare o a un fattore situazionale scatenante.

Proprio perché inaspettato e imponderabile nella sua gravità, l’attacco non è riconducibile a un qualsiasi elemento di plausibilità agli occhi del paziente, che percepisce un senso di non controllo sulla propria condizione psicofisica e ne viene travolto. L’attacco di panico inatteso è quindi un’esperienza estremamente stressante fisicamente e mentalmente, che può generare nel soggetto una forte sensazione di fragilità e perdita di benessere.

È proprio quest’ultima a condurre ad un’ansia anticipatoria, o paura della paura, persistente, che può avere gravi conseguenze sulla vita del soggetto. Si pensa infatti che questa aumenti la probabilità di avere altri attacchi di panico mediante la formulazione implicita di pensieri sull’incontrollabilità e la catastrofizzazione dell’evento temuto, e possa portare alla transizione da attacco di panico a disturbo di panico.

A questa sensazione di vulnerabilità può accompagnarsi anche l’ipocondria, ossia una distorsione delle normali sensazioni che provengono dall’interno del corpo, erroneamente interpretate come sintomi di malattia grave.

Compare dunque anche l’evitamento fobico che porta l’individuo a evitare le situazioni in cui la crisi potrebbe manifestarsi. Questo riduce la probabilità di sperimentare ulteriori attacco, ma rinforza la condotta di evitamento fobico, che talvolta può portare l’individuo a cadere nella spirale dell’uso e abuso di sostanze.

La “marcia del panico” procede poi con la comparsa di una profonda demoralizzazione.

Gli attacchi di panico, secondo la teoria comportamentista, rappresentano uno stimolo incondizionato che, se ripetutamente associato a uno stimolo intrinsecamente neutro, come i luoghi e le situazioni in cui il soggetto sperimenta gli attacchi, conferisce a quest’ultimo la potenzialità di evocare una risposta condizionata, che si manifesta attraverso le condotte di evitamento.

Quali sono le cause di un attacco di panico?

Gli attacchi di panico si manifestano spesso in seguito a:

  • diagnosi di una patologia grave
  • traumi fisici o psicologici
  • lutto
  • cambiamenti importanti
  • questioni di tipo lavorativo, economico o familiare.

Di fronte a situazioni difficili e stressanti è possibile che il nostro sistema difensivo vada in crisi e si inneschi un allarme molto rumoroso che non riusciamo a spegnere.

L’ansia, secondo le teorie psicoanalitiche, si attiva come risposta alle sollecitazioni da parte della realtà esterna e dei desideri interni. Inoltre, ricerche hanno evidenziato tra i pazienti con attacchi di panico, la comune percezione che i genitori durante l’infanzia fossero minacciosi, critici, esigenti e controllanti. L’ansia quindi nasce dalla paura inconscia di rimanere intrappolati in una situazione di disagio oppure di perdere l’amore delle figure di accudimento.

Le teorie cognitive sostengono, invece, che le persone che sperimentano una forte ansia di fronte ai problemi abbiano alcune convinzioni irrazionali, ovvero idee rigide che provocano emozioni negative e comportamenti poco adattivi. I pensieri irrazionali riguardano, ad esempio, giudizi negativi verso sé stessi e gli altri o verso le situazioni complicate, che vengono vissute in modo terribile e catastrofico.

Infine, Jerome Kagan, professore emerito e ricercatore di Psicologia presso la Harvard University, ha rilevato nei pazienti con disturbo di panico una vulnerabilità neurofisiologica predisponente all’ansia, che ha definito inibizione comportamentale a ciò che non è noto. In altre parole, secondo Kagan, i bambini, e poi gli adulti, con questa tendenza sarebbero predisposti a provare ansia nelle situazioni che non conoscono.

Cause organiche

Una crisi di panico può, in misura minore, avere cause organiche tra cui patologie cardiovascolari come angina pectoris, malattie a carico dell’apparato digerente come il reflusso gastroesofageo o a carico dell’apparato respiratorio, come l’asma.

Anche le malattie del sistema nervoso, come la cefalea, o patologie endocrine come il diabete possono essere annoverate tra i fattori scatenanti di natura organica.

Cosa fare per far passare un attacco di panico?

Ma veniamo adesso alle strategie per gestire questi episodi quando si verificano. Come uscire da un attacco di panico? Ci sono alcune azioni concrete che possiamo mettere in pratica quando una crisi di panico ci colpisce in prima persona. Possiamo infatti:

  • isolarci in un luogo tranquillo e privo di stimoli esterni
  • respirare lentamente, utilizzando una tecnica denominata del respiro lento
  • distendere i muscoli, camminando lentamente
  • provare a rallentare i nostri pensieri, ad esempio contare con calma cercando di visualizzare i numeri un secondo alla volta.

Per assistere invece una persona con un attacco di panico, è consigliabile:

  • mantenere la calma al posto suo, pensando che è un momento che può superare col nostro aiuto
  • accompagnarlo in un posto tranquillo, possibilmente lontano da altre persone
  • dirgli/dirle che può capitare di andare in panico, a volte anche senza sapere il perché, e che non è il momento di scoprirlo ora
  • respirare insieme, cercando di sincronizzarci con lui/lei buttando l’aria fuori con la bocca lentamente
  • cercare di assecondare eventuali richieste pratiche, quali sedersi su una panchina, bere un bicchiere d’acqua, fare una telefonata a qualcuno che potrebbe essere d’aiuto.

Come si cura un attacco di panico?

È necessario innanzitutto escludere eventuali cause patologiche. Se gli attacchi di panico sono isolati tendono a risolversi senza il ricorso a una terapia. Nei casi di disturbo di panico, invece, in seguito a diagnosi, spesso si agisce integrando terapia terapia psicofarmacologica, psicologica e terapia cognitivo-comportamentale.

La scelta del trattamento deve dipendere da una valutazione individualizzata dell’efficacia, dei benefici e dei rischi di ogni modalità e dalle preferenze personali del paziente, che includono anche la presa in considerazione dei diversi costi dei trattamenti.

Il trattamento deve mirare a una partecipazione da protagonista attivo del cambiamento da parte del paziente, chiave di volta per ottenere un risultato qualitativamente ottimale e duraturo nel tempo.

I risultati a breve e medio termine permettono una remissione del disturbo in circa il 90% dei casi. Gli studi di follow-up indicano poi che il 45% dei pazienti ottiene anche un miglioramento clinico della sintomatologia a due anni dall’inizio del trattamento.

Qual è il miglior farmaco per gli attacchi di panico?

La terapia farmacologica si basa prevalentemente su due classi di farmaci, usati spesso in associazione:

Le benzodiazepine più adoperate sono:

  • alprazolam
  • etizolam
  • clonazepam
  • lorazepam.

Possono essere impiegate nelle forme lievi e comunque per un breve periodo di tempo, a causa degli effetti collaterali quali sonnolenza, confusione, disturbi della coordinazione e della memoria. E anche perché possono indurre dipendenza e assuefazione.

Tra gli antidepressivi si sono dimostrati efficaci:

  • triciclici (TCA): clomipramina, imipramina, desimipramina
  • inibitori delle monoamino ossidasi (IMAO)
  • inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI): citalopram, escitalopram, paroxetina, fluoxetina, fluvoxamina, sertralina.

Gli SSRI sono largamente impiegati, soprattutto perché hanno minori effetti collaterali, a differenza degli IMAO che, avendone di gravi, specie in associazione con alcune molecole, sono raramente prescritti. La terapia farmacologica per avere successo deve essere affiancata dalla psicoterapia.

Psicoterapia cognitivo-comportamentale

La terapia cognitivo-comportamentale è uno dei modelli terapeutici più efficaci nella cura del disturbo di panico. Questo tipo di intervento mira, con la guida di uno psicologo psicoterapeutaa modificare il comportamento del paziente, attraverso la conoscenza delle proprie sensazioni corporee e delle proprie emozioni.

L’obiettivo della terapia è:

  • contrastare i comportamenti disadattivi, come l’evitamento fobico
  • incoraggiare l’esposizione enterocettiva e in vivo, esponendo il paziente alle sensazioni fisiche che lo spaventano con esercizi mirati e la messa in pratica delle attività a cui ci si sottrae.

Questo trattamento del disturbo di panico aiuta inoltre a prevenire le ricadute, e mostra di ridurre significativamente gli attacchi di panico notturni. Da tenere in considerazione anche l’approccio terapeutico che prevede l’adozione della realtà virtuale.

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