ATTACCO DI PANICO, ecco che cosa fare

Un video per capire che cosa sono gli attacchi di panico e come si può convivere con questo problema.

ATTACCO DI PANICO, ecco che cosa fare

Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, l’attacco di panico è un periodo di intensa paura o disagio accompagnato da almeno 4 sintomi fisici o psicologici. L’attacco ha un inizio improvviso, raggiunge rapidamente l’apice (di solito in 10 minuti o meno), ed è spesso accompagnato da un senso di pericolo o catastrofe imminente e da urgenza di allontanarsi.

13 sintomi sono:

  • palpitazione; cardiopalmo; tachicardia; sudorazione; tremori fini o a grandi scosse;
  • difficoltà a respirare; sensazione di soffocamento; sensazione di asfissia; dolore o fastidio al petto; nausea; disturbi addominali;
  • sensazione di sbandamento, instabilità, testa leggera o svenimento;
  • derealizzazione (senso di irrealtà); depersonalizzzazione (essere distaccati da se stessi);
  • paura di perdere il controllo o di impazzire; paura di morire; paraestesie (sensazione di torpore o di formicolio); brividi; vampate di calore.

Cause e tipologie dell’attacco di panico

In genere l’attacco di panico è inaspettato, cioè non associato a una situazione specifica. Nel corso del tempo le caratteristiche del panico evolvono e queste crisi possono gradualmente collegarsi a condizioni particolari. Esistono, infatti, tre tipi di attacchi di panico che sono caratterizzati da diversi tipi di relazioni tra l’esordio dell’attacco e la presenza o assenza di fattori scatenanti:

  • attacchi di panico inaspettati quando non c’è un fattore scatenante
  • attacchi di panico causati dalla situazione quandol’esordio si manifesta subito dopo l’esposizione o nell’attesa del fattore situazionale scatenante. Il paziente ha un attacco di panico ogni volta che gli viene presentata una determinata situazione
  • attacchi di panico sensibili alla situazione: hanno maggiore possibilità di manifestarsi dopo l’esposizione a un fattore scatenante situazionale ma non sono invariabilmente associati con lo stimolo o non si manifestano necessariamente durante l’esposizione.

Quando l’attacco di panico diventa un disturbo?

L’incidenza del Disturbo di Panico nella popolazione si colloca tra 1.5% e 3.5%; a seconda delle statistiche di riferimento, ed è ripartita tra 1.6% e 2.9% per quanto riguarda le donne e tra 0.4% e 1.7% per gli uomini.

Circa il 30% della popolazione generale ha avuto o avrà nel corso della sua vita almeno un attacco di panico.
Non è ben chiaro quale sia il meccanismo che si instaura unicamente all’interno di quei soggetti che svilupperanno un Disturbo di Panico, sia in termini psicopatologici sia in termini di caratteristiche del soggetto che lo rendono vulnerabile a quella patologia.

Di fatto, un attacco di panico non costituisce un disturbo psichiatrico da curare, a meno che non divenga l’elemento centrale della vita di quella persona organizzandone l’esistenza, facendolo sentire perennemente in balia di un nuovo attacco, alimentando quel senso di fragilità che contraddistingue queste persone.

Lo sviluppo della malattia

Il primo attacco di panico che un soggetto esperisce consiste in genere in un attacco di panico inatteso. L’esordio non è quindi legato a uno stimolo particolare o a un fattore scatenante situazionale.

Proprio perché inatteso e imponderabile nella sua gravità, il paziente non è in grado di ricondurre l’attacco a un qualsiasi elemento di plausibilità. Il paziente esperisce un senso di non controllo sulla propria condizione psico-fisica e ne viene travolto, anche rispetto alle possibili conseguenze fisiche. L’attacco di panico inatteso è quindi un’esperienza estremamente stressante fisicamente e mentalmente, che può generare nel soggetto una forte sensazione di fragilità e perdita del benessere.
Ed è proprio questa a condurre ad un’ansia anticipatoria, o paura della paura, persistente che può avere gravi conseguenze sulla vita del soggetto.
Si pensa infatti che la comparsa dell’ansia anticipatoria aumenti la probabilità di avere altri attacchi di panico mediante la formulazione implicita di pensieri sull’incontrollabilità e la catastrofizzazione dell’evento temuto, e possa portare alla transizione tra attacco di panico e Disturbo di Panico.

A questa forte sensazione di fragilità può accompagnarsi anche l’ipocondria, ossia una distorsione delle normali sensazioni che provengono dall’interno del corpo, erroneamente interpretate come sintomi di malattia grave.

Compare quindi anche l’evitamento fobico che porta l’individuo a evitare le situazioni in cui l’attacco di panico potrebbe manifestarsi. Questo riduce la probabilità di sperimentare un ulteriore attacco, ma rinforza la condotta di evitamento fobico.

La “marcia del panico” procede poi con la comparsa di un forte sentimento di demoralizzazione nel soggetto stesso. Inoltre l’evitamento fobico può portare l’individuo a cadere nella spirale di uso e abuso di sostanze.

Gli attacchi di panico, secondo la teoria comportamentista, rappresentano uno stimolo incondizionato che, se ripetutamente associato a uno stimolo intrinsecamente neutro, come i luoghi e le situazioni in cui il soggetto sperimenta gli attacchi, conferisce a quest’ultimo la potenzialità di evocare una risposta condizionata, che si manifesta attraverso le condotte di evitamento.

Come si cura?

Risultati terapeutici a breve-medio termine, ottenuti con vari approcci, sono più che soddisfacenti con percentuali di remissione del disturbo attorno al 90%. A fronte di questi dati, negli studi di follow-up i risultati più ottimistici evidenziano che solo il 45% dei pazienti manterrà non tanto la remissione, quanto addirittura un miglioramento clinico della sintomatologia a due anni dall’inizio del trattamento.
Il disturbo di panico è quindi una problematica da non sottovalutare. Per questo motivo il piano di cura prevede spesso l’integrazione fra cura farmacologica, psicologica e di natura comportamentale, lavorando insieme al paziente per eliminare il loro senso di fragilità.

La scelta del trattamento deve dipendere da una valutazione individualizzata dell’efficacia, dei benefici e dei rischi di ogni modalità e dalle preferenze personali del paziente, che includono anche la presa in considerazione dei diversi costi dei trattamenti.

Il trattamento, che può essere farmacologicopsicologico, psicoterapeutico ed educativo-comportamentale, deve mirare a una partecipazione da protagonista attivo del cambiamento da parte del paziente, chiave di volta per ottenere un risultato qualitativamente ottimale e duraturo nel tempo.