La depressione: sintomi, cause e terapie

Questo disturbo, che compromette la qualità della vita di chi ne è affetto, necessita di un'attenta identificazione dei sintomi e una valutazione precisa delle possibili terapie.

La depressione: sintomi, cause e terapie

La depressione è un disturbo che si manifesta con sentimenti di tristezza continua profonda, perdita di interesse per le attività, disturbi del sonno e dell’appetito, sentimenti di autosvalutazione e di colpa

Chi ne è affetto affronta una condizione clinica seria, spesso di notevole gravità, che richiede l’intervento di un professionista. Quali sono i segnali e le cause di questa condizione? Come si dovrebbe agire verso chi soffre di depressione? E, soprattutto, a chi rivolgersi per ottenere supporto?

In questo articolo esploreremo i concetti fondamentali alla base del Disturbo Depressivo e le terapie attualmente considerate più efficaci.

Cos’è la depressione?

Il termine clinico depressione indica principalmente un soggetto che prova sintomi come umore depresso continuo, perdita di spinta vitale e interesse per le attività, sentimenti di vuoto e di colpa. A questi sintomi si accompagnano spesso difficoltà di attenzione e concentrazione, calo dell’energia psico-fisica, alterazioni del sonno, condizionando negativamente la qualità della vita della persona. Altre caratteristiche comuni della depressione sono una costante sensazione di tristezza o di apatia, unita all’importante riduzione di piacere e di interesse nei confronti delle attività solitamente desiderate e cercate.

Secondo il World Mental Health Report del 2022, a cura dell’OMS, negli ultimi anni si è assistito ad un aumento della depressione del 25%, e attualmente si contano 300 milioni di persone con questa diagnosi, nel mondo.

La depressione può essere  un disturbo a sé stante (episodio depressivo maggiore), ma può fare parte di un disturbo più ampio, come nel caso della depressione maggiore ricorrente (dove singoli episodi depressivi si ripetono nel corso della vita del soggetto, diventando appunto “ricorrenti”) o del disturbo bipolare (dove gli episodi depressivi e episodi maniacali/misti si presentano in modo ricorrente nel corso della vita).

La gravità della depressione maggiore risulta ancora più evidente se consideriamo la mortalità elevata ad essa associata: circa il 15% delle persone con depressione grave termina la propria vita con il suicidio.

Purtroppo in una percentuale significativa di casi, la depressione si presenta in modo subdolo, con sintomi che non sono immediatamente identificabili né dal soggetto affetto né dalle persone accanto ad esso. Ad esempio, può manifestarsi con insonnia, apatia, calo del desiderio e delle energie psicofisiche, stanchezza cronica, sintomi fisici aspecifici.

I principali sintomi della depressione

Nella sfera emotivo-affettiva la depressione determina amplificazioni dei vissuti e dei sentimenti negativi, con effetto sia sul ricordo di eventi passati sia sulla capacità di ipotizzare eventi futuri.

Più nel dettaglio:

  • aumento del senso di colpa e del rimpianto/rimorso per scelte passate:  il soggetto rivive gli eventi del passato, ricordando maggiormente gli eventi negativi, le conseguenze deleterie delle proprie scelte e le occasioni mancate. Ciò porta il soggetto a colpevolizzarsi, sminuirsi, accusarsi dei propri fallimenti e provare sentimenti di mortificazione e autosvalutazione
  • l’apatia, incapacità di provare sentimenti positivi e negativi. Questo porta il soggetto a mettere in discussione le proprie relazioni, i propri interessi, tendenzialmente attribuendo a se stesso e alle proprie mancanze eventuali interruzioni (“non sono una bella persona”, “non riesco ad impegnarmi in niente”, “è meglio che stia da solo e non rovini la vita degli altri” sono pensieri comuni nei pazienti affetti da depressione)
  • pessimismo verso il futuro. Il soggetto tende a credere che la propria condizione depressiva continuerà per sempre, che le soluzioni non ci siano o siano inefficaci e inadatte al suo caso, che il futuro gli riserverà solo altre delusioni ed eventi spiacevoli. Questo lo porta a rinunciare a priori a nuove occasioni, come possibilità di nuovi lavori/promozioni, nuovi incontri o richieste di socialità, instaurando un circolo vizioso negativo che conferma i vissuti di inadeguatezza, disvalori già presenti.

Tra i sintomi cognitivi, il soggetto può lamentare una capacità di pensare, di mantenere l’attenzione o di concentrarsi, con impatta sulla memoria e quindi sulle capacità di apprendimento di nuove competenze. Può inoltre provare difficoltà nel prendere decisioni, anche per il timore di sbagliare o di fallire. Tutto ciò alimenta una visione negativa e pessimistica, portando il soggetto a sviluppare un forte senso di insicurezza e a minare progressivamente la propria autostima e la fiducia nelle proprie capacità.

Sintomi depressivi della sfera neurovegetativa e sessuale

La depressione maggiore può poi arrivare ad impattare la salute fisica del soggetto, portando allo sviluppo di sintomi della sfera neurovegetativa, come:

  • alterazione del ciclo sonno-veglia (sia con comparsa di insonnia, sia con comparsa di ipersonnia)
  • alterazione dell’appetito, che può risultare diminuito ma anche aumentato, con alterazioni del peso nel medio termine. Il soggetto può inoltre esperire un maggior desiderio di assumere carboidrati o dolci, alla ricerca di una gratificazione immediata
  • variazione dell’attività psicomotoria: la persona depressa si sente lievemente rallentato, sia a livello cognitivo, con una sorta di nebbia cognitiva, che gli impedisce di essere efficace ed efficiente come in precedenza, sia a livello fisico, dove può sviluppare un rallentamento della propria psicomotricità e una riduzione della mimica, che può assumere il caratteristico atteggiamento laconico. In altri casi, la depressione può determinare un senso di agitazione, irrequietezza, con incapacità di rilassarsi ed una tendenza a non volersi fermare, anche per evitare il contatto con i propri pensieri e le proprie emozioni negative. 

La sfera sessuale è anche interessata: il soggetto depresso sperimenta spesso un calo significativo del desiderio sessuale, difficoltà nelle performance sessuali e ridotto piacere nell’atto stesso, con difficoltà a raggiungere l’orgasmo o con sensazione che lo stesso sia meno appagante.

Pensieri suicidari

Infine, le persone affette da depressione possono anche sperimentare ricorrenti pensieri che la vita non valga la pena di essere vissuta, che sarebbe non svegliarsi più, fino a veri e propri pensieri di morte e di intenzionalità suicidaria. Questi pensieri possono spaventare il soggetto, ma anche essere visti come una possibile fuga dalla condizione di estremo malessere e sofferenza provate. A volte possono  derivare anche dalla convinzione che la propria assenza sarebbe un sollievo per i familiari e amici, mentre in altri casi la presenza di persone e legami significativi possono aiutare il soggetto a tollerare tali pensieri e a richiedere aiuto.

Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), l’episodio depressivo può essere diagnosticato se sono presenti vari sintomi tra quelli descritti in precedenza, per un periodo di tempo significativo (solitamente due settimane, per la maggior parte del tempo, quasi tutti i giorni), rappresentando un cambiamento significativo  rispetto al normale stato del soggetto e impattando sul funzionamento quotidiano e/o sulla qualità della vita dello stesso. Almeno uno dei sintomi dev’essere costituito da umore depresso (o deflesso) o perdita di interesse o piacere.

Quali sono i comportamenti di una persona depressa?

Una persona affetta da depressione tende ad avere difficoltà in varie aree della sua vita quotidiana. Ad esempio, può iniziare ad evitare le situazioni sociali  fino ad arrivare ad un vero e proprio   isolamento sociale, riduce le proprie relazioni e abbandona le attività sociali, adotta un comportamento passivo. Accanto ad una riduzione generale di tutte le attività quotidiane e all’apatia, la persona depressa manifesta anche anedonia, letteralmente mancanza di piacere, nello svolgere una qualunque attività, e senso di vuoto.

Un ulteriore aspetto che risulta trascurato è la cura di sé e del proprio corpo, nel nutrimento, nell’igiene personale e nel vestirsi. Anche la vita sessuale viene messa in secondo piano, se non completamente accantonata.

Chi soffre di depressione tende a lamentarsi, si abbandona alla ruminazione e si ritrova in un circolo vizioso per il quale svolge sempre meno azioni, e ogni tentativo di intraprendere un’attività risulta sempre più difficile. In questo modo si rafforza la propria idea di persona incapace, determinata dalla autosvalutazione e dall’autocritica.

La possibilità di svolgere una qualsiasi attività minimamente piacevole, o di semplice cura, viene evitata o procrastinata, se non sabotata da pensieri pessimistici e catastrofici che pervadono il vissuto interiore e minano la motivazione del soggetto.

Quando la depressione è grave?

La depressione viene considerata grave quando la sintomatologia comincia ad impattare significativamente sul funzionamento del soggetto, nel senso che compromette la sua capacità lavorativa o scolastica, che riduce in modo significativo le proprie attività sociale o ludiche, che impedisce di avere una vita sessuale attiva e appagante. È altrettanto grave quando determina una sofferenza soggettiva elevata e costante, a maggior ragione se porta il soggetto ad avere pensieri di morte. 

Nei casi più gravi, è possibile che la persona inizi a manifestare sintomi psicotici, cioè che perda la capacità di essere connesso alla realtà oggettiva in alcuni ambiti, sviluppando ideazioni deliranti (tipicamente di rovina e catastrofiche) e allucinazioni (tipicamente uditive). Quando sono presenti sintomi psicotici si parla di depressione psicotica, una condizione molto grave che richiede un intervento adeguato ed urgente

Perché il soggetto depresso può allontanare chi ama?

Il soggetto depresso può ritrovarsi ad allontanare le persone che ama per molte ragioni. Innanzitutto, i sintomi della depressione lo portano a chiudersi nella propria sofferenza, con difficoltà ad aprirsi e a richiedere aiuto.

A volte, inizialmente può apparire richiedente e lamentoso, ma le risposte che riceve dall’altro spesso vengono interpretate come giudizi o può sentirsi non capito o non compreso, se non addirittura ulteriormente in colpa per il proprio stato (frasi come “ma non ti manca niente”, “basta che ti dai una mossa” “vedrai che con un po’ di forza di volontà ne uscirai” possono ottenere nel soggetto proprio questi effetti negativi, seppure dette con le miglior intenzioni).

Inoltre il soggetto può pensare di essere la causa della sofferenza delle persona che ama e a volte le allontana per “risparmiarle” queste sofferenze (“starà meglio senza di me”, “può trovare molto di meglio”, “io le rovinerò la vita”, “sono solo un peso per gli altri”).

Altri soggetti possono avere difficoltà ad aprirsi e a mostrarsi fragili, perché temono che l’altro lo possa abbandonare o perché non vogliono apparire bisognosi nei confronti di chi hanno accanto (“sono sempre stato un riferimento per lui, non posso farmi vedere così”, “in ufficio tutti mi cercano per risolvere i problemi e per essere supportati, come posso mostrarmi bisognoso io?”).

Esporre il proprio malessere ad un’ altra persona implica inoltre scoprirsi, dunque dare accesso alla propria parte intima e più vulnerabile. È un rischio che può determinare, comprensibilmente, paura e timori, sia con le persone care sia, a maggior ragione con conoscenti e colleghi di lavoro. Non esporsi può essere quindi una scelta all’apparenza difensiva, ma diventa disfunzionale e non permette a chi soffre di questa condizione di ricevere l’aiuto adeguato. Anche in questi casi, rivolgersi ad un professionista può permettere di ricevere l’aiuto adeguato, preservando questa necessità di difendersi, almeno in una prima fase.

Quali sono le cause della depressione?

È possibile definire tre ordini di cause, o fattori, che concorrono nella manifestazione di sintomi depressivi:

  • cause biologiche quali alterazioni del funzionamento di sistemi neurotrasmettitoriali nel nostro cervello, in particolar modo dei sistemi della serotonina, della noradrenalina, della dopamina e del glutammato. Queste alterazioni possono determinare alterazione del tono dell’umore, comparsa di emozioni eccessivamente intensi, come ansia e paura, alterazioni dei ritmi circadiani fisiologici, come il ritmo sonno-veglia, dell’appetito, della capacità di concentrazione e attenzione, delle energie psicofisiche. Possono inoltre determinare difficoltà nei processi del pensiero, con comparsa di rimuginio, affollamento di pensieri negativi, difficoltà ad affrontare i problemi intercorrenti con la solita efficacia. La genetica gioca un ruolo rilevante nel determinare la sensibilità dei nostri sistemi neurotrasmettitoriali alle perturbazioni che conducono alla genesi di una depressione clinicamente significativa, come dimostrato dalla famigliarità presente per i disturbi dell’umore
  • cause psicologiche e sociali determinate da eventi stressanti quali lutto, nascite (si pensi alla depressione post partum, in cui è coinvolto anche lo squilibrio ormonale conseguente il parto), conflitti familiari o interpersonali, cambiamenti di amicizie o di città. Da tenere presente che lo stress che viviamo non dipende solo dall’evento esterno che subiamo, ma da come noi, con le nostre caratteristiche personologiche e le nostre esperienze pregresse, reagiamo allo stesso.

Quanti tipi di depressione ci sono?

Clinicamente, quando parliamo di depressione ci riferiamo all’episodio depressivo, cioè ad un periodo prolungato, di almeno due settimane, in cui l’umore è deflesso o appiattito (anedonico) e sono presenti un insieme di sintomi associati, come descritto in precedenza, determinando una condizione che causa un cambiamento del funzionamento del soggetto affetto e/o una sofferenza soggettiva significativa.

L’episodio depressivo può presentarsi nel contesto di diversi disturbi psichiatrici o essere una condizione clinica a sé stante. In particolare, la depressione può essere:

  • episodio depressivo singolo, quando il soggetto vive per la prima volta una condizione clinica di questo tipo, che dura da almeno due settimane e che ha un impatto sul proprio benessere e/o funzionamento. L’episodio depressivo singolo può manifestarsi con i sintomi classici sopra descritti o può avere caratteristiche definite clinicamente atipiche (cioè ad esempio avere ipersonnia invece che insonnia, iperfagia invece che iporessia, agitazione invece che rallentamento psicomotorio), in questo caso si parla clinicamente di “depressione atipica”. In casi particolarmente gravi, ai sintomi depressivi possono associarsi sintomi psicotici tra cui, nella maggior parte dei casi, deliri di colpa e/o di rovina, oppure allucinazioni uditive (ad es. voci che denigrano e incolpano il soggetto). In questo caso, si parla di “depressione psicotica” o meglio di “episodio depressivo con sintomi psicotici”
  • episodio depressivo in Depressione Maggiore Ricorrente. In questo caso il soggetto ha già avuto nella vita almeno un altro episodio depressivo precedente, che si è risolto (sia spontaneamente, sia dopo trattamento specifico) e dopo un periodo di benessere sta vivendo una nuova fase depressiva. La ricorrenza degli episodi depressivi può variare molto tra i vari soggetti, sia in termini di frequenza che di intensità, e dipende da molteplici fattori biologici, psicologici e sociali
  • episodio depressivo in disturbo bipolare. In questo caso il soggetto ha presentato in precedenza altri episodi dell’umore, in particolare episodi maniacali (caratterizzati da sintomi come euforia, iper-energia, logorrea, accelerazione del pensiero, riduzione del bisogno di sonno) o misti (caratterizzati da sintomi come irritabilità marcata, oscillazioni dell’umore rapide tra euforia, depressione e irritabilità, accelerazione psicomotoria, ansia, agitazione). Il disturbo bipolare infatti si caratterizza per la presenza di episodi dell’umore di “polarità” diverse nel corso della vita, alternati a fasi di remissione più o meno lunghe. Anche in questo caso la frequenza e l’intensità degli episodi sono influenzati da fattori biologici, psicologici e sociali, ma possono essere grandemente ridotte con adeguati terapia e trattamento integrato
  • distimia. Con tale termine si descrive una condizione simile all’episodio depressivo, ma di intensità minore, che però tende a perdurare nel tempo, cronicizzandosi. Solitamente esordisce nella prima età adulta e prosegue invariato per diversi anni, anche decenni, condizionando nel tempo la personalità del soggetto affetto. In questi casi, diventa più difficile identificare un “cambio” da una condizione precedente di benessere in quanto spesso arriva all’attenzione clinica dopo molto tempo ed il soggetto stesso ha difficoltà ad identificare un periodo precedente in cui “stava bene”.  Anche l’episodio depressivo singolo, in alcuni casi e se non trattato adeguatamente, può nel tempo cronicizzarsi e perdurare per diversi anni, condizionando anche in questi casi alterazioni della personalità del soggetto, oltre che impattando negativamente sulla vita dello stesso in modo progressivo
  • depressione reattiva, o “Disturbo dell’adattamento con umore deflesso”. Tale condizione si differenzia dall’episodio depressivo in quanto è solitamente evidente, sia al soggetto che alle persone e ai professionisti che lo incontrano, un rapporto di causa ed effetto tra un evento esterno e lo sviluppo delle sintomatologia depressiva. Ad esempio, un cambio lavorativo o di vita importanti, l’allontanamento da relazioni affettive o amicali significative, l’insorgenza di una disabilità, possono essere tutte cause di sviluppo di uno stato depressivo. In questi casi, se la causa esterna scompare (quando possibile), il soggetto torna al benessere precedente 
  • disturbo affettivo stagionale o depressione stagionale. Questa condizione indica i soggetti che quasi tutti gli autunni/inverni sviluppano una sintomatologia depressiva significativa, che tende a regredire spontaneamente con l’arrivo della primavera/estate, in un circolo che si ripete quasi ogni anno. Probabilmente, alla base di tale disturbo c’è una sensibilità biologica spiccata ai cambiamenti di luce che avvengono nel passaggio da una stagione all’altra. Seppure in Italia tale condizione sia presente, epidemiologicamente è molto più frequente nel nord Europa e in generale nelle latitudini in cui la luce solare tende a ridursi in modo più spiccato e per tempi più lunghi. 

Come riconoscere se si soffre di depressione?

Come si fa a capire se si è davvero affetti da depressione? Bisogna premettere che per il soggetto stesso può non essere facile, soprattutto finché la condizione non raggiunge una gravità significativa. Questo perché spesso si entra in tale condizione  progressivamente, con cambi minimi che vengono attribuiti a stanchezza passeggera, cambio di abitudini, svogliatezza, etc. Solitamente, solo quando compaiono sintomi più evidenti, come insonnia, pianto frequente, calo dell’appetito, la condizione diventa evidente sia al soggetto sia alle persone che lo circondano. 

Si può però prestare attenzione e imparare a riconoscere anche le fasi iniziali di tale condizione, in modo da poter intervenire più precocemente ed evitare che la depressione diventi più grave e dolorosa. In particolare è importante considerare che l’umore ha delle normali oscillazioni, quindi momenti di tristezza rientrano nella normalità, soprattutto se riusciamo facilmente ad individuare delle cause alla base degli stessi (come eventi, ma anche pensieri, fasi di vita).

Può essere, invece, un segnale di allarme rendersi conto che da tempo l’umore è sempre o quasi sempre tendenzialmente basso, che reagiamo con minore felicità e serenità a notizie ed eventi che prima ci gratificavano maggiormente, come una chiamata/uscita con amici cari, dedicarci alle nostre passioni, raggiungere un traguardo significativo (es superare un esame all’università con buoni risultati, avere elogi e riconoscimenti in ambiti lavorativi, etc.).

Un altro campanello di allarme potrebbe essere il renderci conto che abbiamo meno voglia di fare le cose che prima ci piaceva fare (es abbandoniamo un hobby, rinunciamo più spesso allo sport che ci piaceva, etc.) o che tendiamo ad evitare incontri con amici, situazioni sociali prima piacevoli, siamo meno interessati a libri, serie, film che prima ci appassionavano. Anche una stanchezza costante, sentirsi spesso senza energie o con difficoltà a concentrarci e mantenere l’attenzione potrebbe essere un segnale di un’iniziale depressione. Accorgersi che viviamo con più apprensione e ansia situazioni che prima affrontavamo senza particolare difficoltà, renderci conto di avere un’emotività più labile del solito sono altri segnali di attenzione. 

Certo, come premesso, questi segnali vanno contestualizzati nel periodo che stiamo vivendo e possono diventare preoccupanti solo se si prolungano per un tempo significativo, indicativamente per più di due-tre settimane.  A volte può essere utile per il soggetto paragonare il periodo che sta vivendo ai mesi precedenti o allo stesso periodo dell’anno passato, in modo da poter identificare più chiaramente se ci sono differenze significative. 

Se questo periodo sembra essere diverso dai precedenti e se soprattutto si prolunga per settimane o mesi, può essere opportuno rivolgersi ad uno specialista per escludere o confermare la presenza di una depressione vera e propria e intraprendere i trattamenti adeguati per affrontarla. 

Come avviene la diagnosi

La diagnosi vera e propria di depressione può essere fatta solo da un clinico, sia esso il medico curante, uno psicologo psicoterapeuta (mentre uno psicologo non psicoterapeuta può solo porre il sospetto della diagnosi), un medico neurologo o, ovviamente, un medico psichiatra, che è lo specialista di riferimento per la cura della depressione clinica, in particolare per le condizioni moderate – severe (quelle cioè dove la depressione impedisce al soggetto di “funzionare” nella propria socialità, nel proprio contesto lavorativo o ricreativo, o determina una sofferenza significativa). 

La diagnosi di depressione si basa sulla sintomatologia riferita dal paziente e verificata in visita, dai dati anamnestici raccolti e dall’esame di stato mentale effettuato durante la visita stessa dallo specialista. Quando durante questa valutazione viene riscontrata la presenza dei criteri diagnostici riconosciuti dalle principali linee guida internazionali, viene posta diagnosi di episodio depressivo (ed eventualmente inquadrato nei disturbi sopra menzionati).  

In alcuni casi, in cui la depressione non si manifesta in modo evidente, può essere necessario valutare il soggetto in più visite per porre la diagnosi o somministrare al paziente alcuni test specifici per confermare/escludere la diagnosi. È possibile inoltre che lo specialista consigli alcuni approfondimenti medici o esami ematochimici specifici prima di porre la diagnosi, per escludere che alla base della sintomatologia depressiva riscontrata non vi sia una condizione medica misconosciuta (alcune patologie, alcuni trattamenti farmacologici  o alcuni stati carenziali, come ad esempio l’ipotiroidismo, possono generare una sintomatologia simile, che scompare una volta trattata la causa sottostante).

Chi è più soggetto alla depressione?

La depressione tende a colpire maggiormente il genere femminile, da quanto dimostrato dall’epidemiologia. In particolare sembra che le donne abbiano un rischio del 30% superiore rispetto agli uomini. Anche i soggetti con difficoltà nell’identificazione  di genere sembrano avere un rischio maggiore di sviluppare disturbi depressivi. 

Queste differenze epidemiologiche nella manifestazione di episodi depressivi possono dipendere da molteplici fattori, quali influenze genetiche, profilo ormonale differente, ma anche da fattori psicologici e sociali, non ancora del tutto chiari e ancora da dimostrare pienamente. Ad esempio gli uomini potrebbero avere più difficoltà a mostrare e richiedere aiuto per bisogni psicologici, mentre le donne potrebbero avere maggiori sfide sociali legate all’equilibrio tra carriera e famiglia. Al momento queste sono solo ipotesi, per quanto sensate e apparentemente condivisibili, ma mancano dimostrazioni scientifiche univoche a riguardo.

Come uscire dalla depressione, e come si cura?

La depressione è una condizione clinica seria, che determina un malessere significativo nel soggetto affetto, con ripercussioni negative sia sulla qualità di vita, sia nei principali ambiti di vita del soggetto (difficoltà lavorative, perdita di reti sociali, peggioramento delle relazioni affettive), che rischiano di innescare a loro volta dei circoli viziosi di peggioramento che alimentano e mantengono la depressione stessa.

Inoltre, il perdurare di uno stato depressivo può portare a modificazioni del proprio modo di pensare e di agire, con anche modificazioni della personalità e del carattere nel lungo tempo. Per questo è importante intervenire e trattare tale condizione il prima possibile, al fine di favorire un ritorno ad un completo benessere. 

A seconda della gravità della sintomatologia, gli approcci possono essere differenti. Se interveniamo su una depressione lieve o minore, approcci di cambio di stile di vita, come una maggiore attività fisica, un’alimentazione più adeguata, l’abolizione di comportamenti deleteri come abuso di alcol e di sostanze, una maggiore socialità con persone positive, potrebbero essere sufficienti ad “invertire la rotta” e favorire una ripresa di un benessere psicofisico. Qualora questo risultasse difficile o non possibile per il soggetto, un aiuto da parte di uno psicologo psicoterapeuta esperto nel campo potrebbe essere sufficiente ad aiutare il paziente a riprendersi dallo stato depressivo e ritornare gradualmente ad un benessere precedente. 

Se, però, la gravità della sintomatologia è moderata-severa, è opportuno considerare un trattamento farmacologico appropriato, meglio se prescritto e monitorato da un medico psichiatra, che ha le competenze migliori per questo tipo di trattamenti. Quando ci riferiamo ad una sintomatologia moderata-severa intendiamo, come descritto in precedenza, una sintomatologia che arriva a condizionare negativamente la vita del paziente e il suo funzionamento in diverse aree. Ad esempio determinando difficoltà a mantenere le consuete performance nel lavoro e nello studio, riducendo molto la propria socialità o le proprie attività ricreative, impattando negativamente sulle relazioni e sulla sfera sessuale. Anche se questi sintomi provocano una sofferenza significativa e faticosa da sopportare parliamo di una gravità almeno moderata. Infine, se vi sono alterazioni dei ritmi circadiani, come la comparsa di insonnia, o calo dell’appetito marcato, o addirittura comparsa di pensieri autolesivi, di morte o suicidari, siamo di fronte ad una gravità che necessita assolutamente di un trattamento antidepressivo farmacologico

Trattamento farmacologico

I farmaci solitamente utilizzati per il trattamento della depressione sono quelli che rientrano nella categoria di farmaci “antidepressivi”. Questi farmaci si introducono gradualmente e devono essere presi continuativamente. L’efficacia si riscontra solitamente dopo 4-6 settimane e raggiunge l’effetto pieno dopo 8 settimane di trattamento alla dose terapeutica indicata dallo specialista. Esistono varie classi di antidepressivi, tra cui la classe degli SSRI, dei multimodali, degli SNRI e dei triciclici.

Attualmente i farmaci di prima linea sono gli SSRI e alcuni multimodali, in quanto meglio tollerati e parimenti efficaci ai più “antichi”, come i triciclici. Essi si differenziano tra loro soprattutto per quanto concerne il profilo di tollerabilità (cioè per gli effetti collaterali che possono dare), risultando sostanzialmente paragonabili per quanto concerne l’efficacia. A tali farmaci possono essere associati altri trattamenti, sia temporanei sia più stabili, a seconda delle specifiche necessità cliniche del singolo paziente.

È importante che lo specialista spieghi e discuta con il paziente le varie scelte terapeutiche possibili, indicandone scopi, pro e contro, aiutando il paziente a fare una scelta condivisa con il clinico del proprio trattamento. È altrettanto importante monitorare con visite frequenti nella prima fase del trattamento l’efficacia e la tollerabilità dello stesso, in modo da poter modificare le dosi del farmaco ed eventualmente sostituirlo qualora questi mostri scarsa efficacia o scarsa tollerabilità. Una volta raggiunta la guarigione (o meglio remissione) dei sintomi, questi trattamenti devono essere continuati per almeno un anno, monitorando regolarmente con lo specialista di fiducia l’andamento della terapia e il mantenimento dello stato di remissione.

Accanto al trattamento farmacologico è sempre consigliato di effettuare un trattamento integrato con percorso di psicoterapia individuale, quando possibile. Questo perché i dati di letteratura scientifica dimostrano che un trattamento integrato porta a remissioni sintomatologiche più veloci e più stabili nel tempo, riducendo la possibilità di ricaduta futura nel medio lungo termine.

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